il Fatto Quotidiano, 7 dicembre 2015
Ecco chi è Luca Barbarossa
Quello che Luca Barbarossa riesce a fare con la voce è non assomigliare a nessuno, se non nell’aspetto. Non è un rocker maledetto come Vasco, non si atteggia a principe come De Gregori, non ha bisogno delle collane di Ligabue o delle movenze di Jovanotti: in scena porta se stesso. Romano, romanista (da queste parti è una di quelle cose che devono essere precisate), le sue origini le ha intinte nel folk americano, Pete Seeger, Woody Guthrie e, ovviamente, Bob Dylan. Come per svariate generazioni di cantautori, la chitarra la incontra per la prima volta dopo che Dylan arriva al Greenwich Village, un percorso che un giornalista del New York Times, Anthony Scaduto, ha raccontato molto bene in Bob Dylan, An Intimate Biography, le tappe di un viaggio iniziato a Duluth, nel Minnesota, e finite a Newport, dove il Menestrello, com’è stato soprannominato, apre al rock come lo intendiamo oggi. “Sì, fu quello. L’inizio e la voglia di maneggiare le corde di una chitarra, con l’attenzione alla voce e al testo, senza nessuna differenza. Poi dopo c’è stato tutto il resto, per me ascoltare Buonanotte Fiorellino di De Gregori e Senza fine di Gino Paoli, fu come dire, vabbè, ho capito come si dovrebbe scrivere, l’equilibrio giusto tra testo e musica”.
Cantautore, ma anche speaker radiofonico. Da sei anni conduce una trasmissione, Radio 2 Social Club, diventata un classico e passata da settimanale a quotidiana. Chi è Barbarossa?
Un cantante prestato alla radio (ride). Sicuramente mi sono avventurato in un campo che non era il mio ed è stato scoprire qualcosa. D’altronde tutto ormai passa a grande velocità, la radio no. E miracolosamente cresce negli ascolti. Non sono uno studioso della materia, ma resta uno dei punti fermi. Però, a dire la veritàò, non ho mai cantato così tanto in vita mia come faccio da sei anni, dal debutto della trasmissione, dunque nasco e rimango cantautore. Senza dubbio.
È uscito un disco di duetti, Radio Duets Musica libera, che ha fatto in radio, il cui ricavato andrà tutto in beneficenza a Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie di don Luigi Ciotti.
Una cosa per volta. I duetti sono la grande opportunità che mi ha dato la radio, mi sono trovato a cantare con artisti che non ci sarebbero stati nella mia normale carriera discografica. Canto con Francesco De Gregori, Fiorella Mannoia, Malika Ayane, Giuliano Sangiorgi, Edoardo Bennato, Lucio Dalla, Franco Califano: incontri umani e artistici meravigliosi. Un archivio quasi infinito di emozioni. Ci sembrava doveroso fotografare questa isola felice dove si fa ancora musica dal vivo, in radio. E ci ha portati al disco.
E la scelta di don Ciotti?
Ci arrivavo. Noi siamo sempre pronti a piangere davanti alle vittime di mafia o a chi la combatte. Credo che lasciare il ricavato alla loro associazione sia un gesto, seppur piccolo, indispensabile per quelli come me, e che cantano con me, per rendersi utile e far sentire a don Ciotti la nostra vicinanza. Fare qualcosa, oltre alla parola, che è assolutamente importante. Un lavoro nato per scherzo, perché i nostri duetti in radio sono molto giocosi, ma che con un gesto del genere assumono un tono diverso. Mi colpì la minaccia che Totò Riina ha lanciato dal carcere a don Ciotti. Quasi inosservata, ma noi ce ne eravamo accorti. Ripeto: la mafia ha colpito chi la combatteva perché era rimasto solo. Con grande responsabilità nostra, della società civile. Il nostro è un lavoro che tende4 alla bellezza, all’armonia a un senso etico e le mafie lavorano in direzione contraria a tutto questo.
Non sono solo canzonette, forse.
Magari sì, in parte lo sono anche. Però il disco è fatto anche di grandi brani, quelli che non passano. Ci sono i duetti con Dalla e Califano che sono due persone fondamentali nella mia vita artistica. Mi mancano, mi emoziona riascoltarli.
C’è un duetto che le manca?
Ce ne sono due. Uno è con Pino Daniele, l’ho cercato tante volte e poi per una serie di impegni non sono mai riuscito a portarlo in trasmissione. Ci penso a come sarebbe stato.
E l’altro?
L’altro sono qui che lo aspetto. Si chiama Vasco Rossi. Lo adoro, mi piace quello che scrive, la sua voce, l’essere rimasto genuino come lo era agli inizi. Continuerò a cercarlo, prima o poi ci riesco a portarlo in radio.
Il disco di duetti avrà un seguito?
Avrà un concerto. Il 26 dicembre, il giorno di Santo Stefano, con tutti quelli che potranno esserci, al Parco della Musica. Anche in quel caso il ricavato andrà a Libera.
Lei Roma l’ha cantata. Roma puttana, dice un verso di una delle sue canzoni più note. Che effetto le fa oggi?
Siamo andati oltre l’incredibile. Neanche un sindaco alla fine per bene, come è stato Ignazio Marino, ha potuto nulla contro il degrado che la circonda. Roma è la città più bella del mondo, ce la dobbiamo riprendere, ma serve il contributo di tutto, nessuno può chiamarsi fuori. Il malaffare ha contagiato il tessuto della città. La questione morale è il nodo da risolvere, non possiamo arrenderci a quel mondo di mezzo molto ben descritto nelle intercettazioni.
Gli intellettuali però sono scomparsi. Non hanno detto una parola, nemmeno Nanni Moretti o Roberto Benigni, che erano tra i primi a indignarsi.
Il problema è che la fantasia ha superato la realtà. Non sappiamo neppure più come indignarci. È un muro di gomma contro il quale si sbatte. Gli intellettuali hanno un rapporto discontinuo con la politica, mancano di riferimenti affidabili. Servono buoni maestri che abbiano la costanza di andare fino in fondo alle questioni e che sappiano parlare alle nuove generazioni.
Secondo lei il cantautorato è morto? Guccini dice che lui il successo l’ha avuto al quarto disco, e oggi nessuno gli avrebbe fatto fare il secondo.
In parte è vero. Però oggi c’è anche la libertà di farseli da soli, i dischi. Prima mettere in piedi una baracca produttiva era impossibile, oggi la tecnologia lo permette. Certo, i dischi vanno comunicati. Bisogna arrivare alle persone, ma a volte la Rete adotta contenuti che diventano all’improvviso universali. Rimpiangiamo tutti gli anni Sessanta, con Franco Migliacci che componeva, Lucio Dalla che scriveva i testi, Ennio Morricone che li arrangiava e Gianni Morandi li incideva. Oggi c’è poca progettualità, condivido le parole del saggio Guccini.
Cantautore, conduttore radiofonico, tournée a teatro con Neri Marcorè, e vincitore del festival di Sanremo. Le ha fatte tutte?
Ne vorrei fare molte di più. Di Sanremo comunque ne ho vinti due, anche se uno nella sezione giovani non conta. Dalla vittoria alla vendita, però, ne corre, Via Margutta arrivò terz’ultima, poi ha venduto più delle altre. Però Portami a ballare, quello in cui parlo a mia madre e che vinse, è un brano al quale tengo molto. C’è molto del mio lavoro in quelle parole.