Corriere Economia , 7 dicembre 2015
Gli italiani che decidono la politica economica americana. Il catalogo è questo
Non ci sarà Little Italy come a New York, ma a Washington l’Italia non manca. Specie se si guarda alla galassia compresa tra Fondo monetario internazionale (Fmi), World bank, Federal reserve e think tank. Il più famoso è sicuramente Carlo Cottarelli, già commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica dell’Italia. Ma non è il solo policymaker italiano presente nella capitale degli Stati Uniti.
C’è infatti un folto numero di decisori, persone cruciali per le politiche pubbliche, così come per quelle economiche e monetarie, che arrivano dal nostro Paese.
La squadra Yellen
La truppa maggiore di italiani in posizioni apicali non è dove uno se lo aspetterebbe, ovvero al Fmi. È infatti alla Federal Reserve, la banca centrale americana guidata da Janet Yellen. Sono ben sei gli economisti italiani a capo di una sezione. E non si tratta di divisioni qualunque, bensì alcune delle più cruciali in questo momento storico, con la Fed che sta per iniziare l’ exit strategy dalla politica monetaria di tassi prossimi allo zero. In un contesto tale, la posizione di Gianni Amisano, capo della divisione Current macroeconomic conditions, risulta fondamentale. Nato nel 1963 ad Alessandria, Amisano ha preso un dottorato in Economia a Warwick nel 1995. Dopo un’esperienza come docente di Econometria a Brescia, è entrato alla Banca centrale europea (Bce), dove ha svolto ricerca sulla modellistica macroeconomica. Ma quest’anno Amisano è passato dall’altra parte dell’Atlantico, alla Fed, abbracciando gli altri expat di lusso.
Come Chiara Scotti, alla guida della sezione Financial stability assessment, che dopo una laurea in Bocconi, un master all’Università della Pennsylvania e un dottorato nello stesso ateneo, è prima andata a lavorare nel settore privato, per poi spostarsi nelle istituzioni. È dal 2005 che infatti è alla Fed. Ufficio simile è quello di Celso Brunetti, che, dopo il dottorato all’University of London nel 1999, ha prima insegnato (in Pennsylvania e poi a Johns Hopkins) e poi è entrato, nel 2011, nel Board of governors della Fed.
Brunetti è alla guida della sezione Systemic financial institutions and markets, decisamente importante ora. Non a caso, la Yellen ha più volte ricordato che il rialzo dei tassi d’interesse dovrà essere calibrato gradualmente per non urtare la crescita globale.
Oltre ad Amisano, Scotti e Brunetti, ci sono altri specialisti. Si tratta di Fabio Natalucci, Marco Cagetti, Matteo Iacoviello e Andrea Raffo, rispettivamente associate director e direttori delle divisioni Flow of funds, Trade and financial studies e Global modeling studies. Senza contare la quantità di economisti italiani presenti nel board della Fed o distaccati in uno dei 12 distretti della Federal reserve.
Fra gli ultimi entrati troviamo Enrico Mallucci e Riccardo Trezzi, il primo con un dottorato alla London school of economics (Lse), il secondo a Cambridge.
C’è poi l’universo composto da Fmi e World bank. Per il Fondo, oltre a Cottarelli, riveste una posizione importante Gian Maria Milesi-Ferretti, vicedirettore del dipartimento di ricerca dell’istituzione guidata da Christine Lagarde. Laurea a La Sapienza nel 1985, master e dottorato in Economia guadagnati ad Harvard, Milesi-Ferretti è riconosciuto da ambo i lati dell’Atlantico per la qualità dei suoi studi. Apprezzato dal mondo accademico tanto quanto dai think tank, è uno dei massimi esperti di squilibri globali all’interno del Fmi. Per la World Bank, troviamo nella posizione di direttore esecutivo Patrizio Pagano, che ha in dote un dottorato a Pavia e un passato alla Banca d’Italia.
La terza via
Infine c’è la terza via. Quella più naturale, ma anche più trasversale: i think tank. Nemmeno qui le eccellenze mancano. All’Atlantic council c’è Andrea Montanino, direttore del Global business and economics program. Laurea e dottorato a La Sapienza, più master alla Lse, Montanino è stato economista presso la Commissione europea, alto funzionario del Tesoro nella fase più dura della crisi italiana e poi ha lavorato al Fmi, come direttore esecutivo. Il suo compito ora è stimolare la discussione fra cinque mondi diversi: politica, economia, imprenditoria, diplomazia e accademia.
Posizione leggermente diversa è quella di Paolo Mauro, senior fellow del Peterson institute for international economics (Piie). Laurea a Oxford, poi dottorato ad Harvard nel 1994, a cui hanno fatto seguito circa vent’anni al Fmi. Mauro è dal 2014 al 1750 di Massachusetts avenue, dove si occupa di politica fiscale e crescita economica con focus sui mercati emergenti, memore della sua esperienza in Africa. Perché, fa notare un alto diplomatico italiano, «ogni esperienza in giro per il mondo è davvero utile, qui».