Il Messaggero, 7 dicembre 2015
«È l’uomo che ha cambiato la nostra vita. Ho scelto di ricostruire il dietro le quinte del lancio dei prodotti che lo hanno reso un mito». Danny Boyle racconta il suo Steve Jobs (al cinema a gennaio)
Un genio entrato nel mito, un uomo accentratore e crudele anche con la propria figlia, un guru sempre sospeso tra luci e ombre: a quattro anni dalla morte, Steve Jobs continua ad abitare nell’immaginario collettivo. E, dopo il deludente film Jobs di Joshua Michael Stern con Aston Kutcher, tocca ora al regista inglese Danny Boyle, 59 anni, Oscar 2008 per The Millionaire, raccontare la storia del fondatore di Apple affidando il ruolo del protagonista a uno strepitoso Michael Fassbender già in odore di nomination, affiancato dagli altrettanto convincenti Kate Winslet, Seth Rogen e Jeff Daniels. Il film, intitolato Steve Jobs, ispirato alla biografia-best seller di Walter Isaacson e sceneggiato da Aaron Sorkin, uscirà il 21 gennaio con Universal. Perché, Boyle, ha deciso di girare un film su Jobs?
«Perché ha cambiato la nostra vita. Ho scelto di ricostruire il dietro le quinte del lancio dei prodotti che hanno reso quest’uomo un mito».
Qual è stata la sua principale preoccupazione?
«L’atteggiamento della vedova di Jobs, che non voleva il film. Pur rispettando il suo dolore, ho deciso di andare avanti: lei non compare, raccontiamo fatti precedenti».
Si è sentito intimidito dalle potentissime aziende di cui parla il film?
«No, non ho messo in conto eventuali pressioni perché mi sono attenuto ai fatti».
Cosa ha scoperto sul protagonista?
«Man mano che mi addentravo nella storia, rintracciavo il dolore che ha intessuto la vita di Jobs. Pur essendo uno degli uomini più ricchi del mondo (già nel 1984 aveva un patrimonio di oltre 400 milioni di dollari) non superò mai il trauma di essere stato abbandonato dai genitori: per questo diventò un maniaco del controllo, trattò male sua figlia e voleva che il pubblico amasse i suoi prodotti».
Che intende dire?
«Cercava l’approvazione, desiderava essere amato dai consumatori. Oggi noi siamo fortemente connessi alle sue invenzioni: affidiamo al telefonino, al computer e al tablet segreti che non confideremmo a nessuno».
Cosa ha messo, di suo, Fassbender?
«Un talento fuori del comune e la capacità di”diventare” Jobs: leggeva il copione a voce alta notte e giorno, fino ad assorbirlo. Il personaggio gli è entrato nella pelle».
E chi era Johanna Hoffman, il braccio destro di Jobs, interpretata da Kate Winslet?
«Una figura chiave del suo successo, l’unica persona che il fondatore della Apple ascoltasse davvero. Ho messo nel film un episodio realmente accaduto: Jobs andò a casa sua di notte per chiederle come mai non fossero mai andati a letto insieme, e lei rispose: perché non siamo innamorati».
Ha girato tutto il film a San Francisco...
«È la Betlemme dell’era digitale, la patria della seconda rivoluzione industriale».
Perché in America il film non ha sbancato i botteghini?
«È andato bene a New York, Los Angeles e nelle grandi città. Forse è stato distribuito in troppe copie, pur non contenendo sparatorie e inseguimenti. Anche se ne abbiamo fatto un ritratto tutt’altro che agiografico, Jobs è considerato un pioniere, un uomo d’affari di grande successo. Il tipico mito americano».