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 2015  dicembre 07 Lunedì calendario

La Scala apre la stagione con il classico imprevisto: andrà in scena il baritono di riserva Devid Cecconi

Un classico. Come per ogni 7 dicembre, anche quest’anno alla Scala è arrivato l’atteso colpo di scena appena prima della «prima»: nella Giovanna d’Arco non c’è più il baritono. O almeno non è più quello previsto: Giacomo, papà dell’eroina, non sarà il celebre Carlos Alvarez, vittima di una bronchite che gli aveva già impedito di cantare prova generale e «primina» under 30 del 4. Brodini e aspirine non sono bastati: Alvarez afono era e afono è rimasto. Lo sostituisce la sua «cover», Devid (sì, con la «e») Cecconi, 44 anni, toscano di Campi Bisenzio, molto meno celebre, anzi quasi sconosciuto. Il milite ignoto aveva già rimpiazzato Alvarez ma cantando al proscenio e in borghese mentre il titolare recitava in costume. Stasera invece Cecconi sarà regolarmente in scena. Proprio ieri raccontava al Giorno di aver evitato di parlare ad Alvarez di quest’eventualità: «Non voglio apparire come quello che gliela sta tirando». Per lui, è l’occasione della vita. In bocca al lupo.
Per ora, è l’unico imprevisto di questo Sant’Ambroeus altrimenti insolitamente tranquillo, almeno dal punto di vista artistico. Tanto Anna Netrebko, che fa Giovanna (e la Scala fa Giovanna appunto perché c’è lei) quanto il tenore Francesco Meli sono apparsi, toccando tutti i ferri possibili, in perfetta forma, Riccardo Chailly, idem. E la coppia dei registi, Moshe Leiser e Patrick Courier, ha cucinato uno spettacolo furbo che dovrebbe piacere sia alla minoranza che sa come nel Duemila si fa l’opera lirica nel resto del mondo sia alla maggioranza che per Giovanna d’Arco esige obbligatoriamente le armature e la cattedrale di Reims, in questo caso alta otto metri e mezzo e già promossa a «orgoglio dei laboratori scaligeri». Invece il rogo, purtroppo, non ci sarà. Però la colpa non è dei registi, cattivi a prescindere, ma di Schiller e, di conseguenza, di Verdi per interposto Temistocle Solera. Due ore e mezzo di durata complessiva, un intervallo solo: il gioco del chi c’è-chi non c’è-com’è vestito e conseguenti paparazzate sarà bello perché corto.
Per il resto, calma quasi piatta. Non rimane quindi che dare i numeri. Il teatro ha già provveduto. Apprendiamo così che per lo spettacolo sono state usati 23.900 viti, 28 mila chiodi e 1.200 bulloni, e mezzo chilometro di velluto nero per le scene. L’opera va in diretta su Rai5 e in streaming sul sito della Scala, e poi in tivù in 13 Paesi, alla radio in 22, nei cinema in otto. La primona ha anche dopato i social della Scala: l’account Twitter del teatro ha superato i 200 mila follower.
Poi c’è tutto l’aspetto sicurezza, anche se non ci saranno né il Presidente della Repubblica né quello del Consiglio, anche se non si può dire perché Renzi non ha ancora ufficialmente detto di no (ma nemmeno di sì, se è per questo).
Dopo Parigi, però, misure di sicurezza a mille, come se poi la Scala il 7 non fosse sempre più blindata di Fort Knox. Quest’anno in più ci saranno i cecchini sui tetti e i metal detector all’ingresso. Da antologia il commento di una dama: «Dice che dovremo mettere i gioielli in una vaschetta come all’aeroporto?». Sono tempi cupi per tutti...