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 2015  dicembre 07 Lunedì calendario

Arabia e Iran ancora divise sul prezzo del petrolio. Va in crisi la produzione americana

Il mercato del petrolio è arrivato alla svolta: il barile scivola sotto 40 dollari ma ciò non prelude a un crollo. Secondo gli economisti nel 2016 potrebbe esserci un rimbalzo o comunque prezzi abbastanza stabili. L’Arabia Saudita, regista di questa manovra, ha tenuto il punto in sede Opec (l’organizzazione degli esportatori) e ha sconfitto l’Iran e altri Paesi che spingevano per un taglio della produzione. Riad preferisce guadagnare poco nell’immediato e difendere le sue quote di export, e intanto manda fuori mercato i produttori americani alternativi che estraggono lo shale oil. I costi di produzione dei «fracker» degli Stati Uniti sono superiori ai 40 e anche ai 50 dollari al barile. Perciò queste aziende sono in perdita, e lo sono ormai da mesi. Si reggono sui crediti della banche, e le banche piuttosto che inscrivere i loro crediti pregressi come perdite preferiscono continuare a elargire prestiti nuovi, sperando che il mercato del petrolio si riprenda. Ma questo non avviene, e quando la Federal Reserve rialzerà i tassi di interesse diventerà impossibile continuare a finanziare i produttori Usa in rosso. Allora ci sarà il crollo dell’estrazione e il ritorno del barile a 70 o 80 dollari. Questo prevedono gli analisti, ma con una possibile complicazione: i sauditi potrebbero non accontentarsi di mandare fuori mercato lo shale oil, potrebbero voler continuare il gioco dei prezzi bassi contro il nemico Iran. Non sarà facile però.
I numeri chiave sono quelli di Baker Hughes sulle trivelle di shale oil in America: sono in calo da 14 settimane e venerdì sono scese a 545, cioè al minimo dal 2010 e a meno di un terzo del massimo di ottobre 2014, quando ne erano attive 1.609. È in arrivo il crac del settore? «Siamo meravigliati dalla resistenza di queste aziende – spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – per mesi la loro produzione è addirittura aumentata, anche con un numero di torri via via minore. Ma fra poco in America la politica del denaro a costo zero finirà, le banche smetteranno di fare crediti illimitati, e la bolla produttiva scoppierà».
Se ne vedono già le avvisaglie: l’estrazione di petrolio negli Usa (ultimo dato 27 novembre) è scesa a 9,2 milioni di barili al giorno, contro il picco storico di 9,6 in aprile. Sono 400 mila barili in meno. Il surplus produttivo mondiale è di un paio di milioni di barili al giorno. Basta che un altro po’ di torri vada a gambe all’aria e il mercato torna in equilibrio e il barile risale. E non sarà facile, a quel punto, riavviare subito le trivelle di shale oil (grazie a prezzi tornati remunerativi) perché i rubinetti del credito non potranno riaprirsi come prima.
Una complicazione è data dal fatto che gli Usa non hanno una posizione definita sul prezzo del petrolio. Il prezzo basso favorisce la ripresa, ma va contro la sopravvivenza di un florido settore «shale», che viene auspicata a Washington come fattore di indipendenza energetica. Non è neanche chiaro fino a che punto voglia spingersi l’Arabia Saudita nella sua ostilità all’Iran. Cercherà all’infinito di tenere basso il prezzo, pur di ridurre gli introiti di Teheran? Difficile: i sauditi possono resistere più a lungo degli iraniani ai prezzi bassi del barile, grazie a un fondo sovrano da 600 miliardi di dollari, ma Riad quei dollari se li sta mangiando. A medio termine anche i sauditi avranno bisogno di prezzi più alti. E l’afflusso di nuovo petrolio iraniano, grazie alla fine delle sanzioni, riporterà sul mercato un surplus produttivo? Difficile. Gli analisti avvertono che le compagnie occidentali esitano a investire in Iran, tanti colloqui, pochi contratti. No, la previsione è che il mercato ritrovi l’equilibrio fra domanda e offerta, e che il barile torni a 70 o 80 dollari forse già alla fine del 2016, e anche di più in seguito.
In Italia invece si fa i conti con la benzina che continua a essere cara rispetto al prezzo del petrolio. Federconsumatori denuncia che «ogni italiano quest’anno paga 72 euro in più per benzina e gasolio e 45 in più per costi indiretti come bollette e trasporti». Mentre il Codacons prevede per il Ponte dell’Immacolata una stangata di 30 milioni in più.