La Stampa, 7 dicembre 2015
Le pressioni di Chaouqui e soci sul giornalista che scriveva male di lei
Tutto è iniziato con un tweet. Poi un altro e un altro ancora. Per capire qualcosa di più di Francesca Chaouqui e delle sue grane giudiziarie bisogna risalire ai famosi e imbarazzanti messaggi attribuiti alla pr e a un articolo che svelò la foga social di questa attivissima ragazza dalle misteriose entrature vaticane. Nell’agosto del 2013 Fabio Marchese Ragona, vaticanista del Giornale, pubblica un ritratto della donna, che nello stupore di molti era appena entrata nella Commissione finanziaria voluta dal Papa. Il cronista riportò i tweet scritti dall’account della Chaouqui: «Tarcisio Bertone è corrotto». «Giulio Tremonti un omosessuale, per questo è stato chiuso il conto dello Ior». «Benedetto XVI è malato di leucemia». In altri, la pierre elogiava Gianluigi Nuzzi (con cui è imputata nel processo della Santa Sede), autore di due libri sul Vaticano, uno dei quali si intreccia con il primo Vatileaks ai tempi di Ratzinger. Chaouqui è infuriata. È appena entrata nella Cosea e già si parla di lei in un intreccio di corvi e hacker, esattamente come oggi. Ma non si nasconde. La sua strategia è sempre stata di ostentare visibilità. Gioca con la società dello spettacolo. È ambiziosa e spregiudicata. Siamo nell’autunno del 2013, il periodo a cui si riferisce l’inchiesta passata da Terni a Roma, in cui Chaouqui è indagata con il marito e altri per concussione e associazione a delinquere. Dopo il pezzo, i tweet scompaiono. Racconta la sua verità all’Espresso. Nei mesi si contraddice, però. Di volta in volta, parla di hacker dalla Gran Bretagna, di messaggi photoshoppati, accusa Ragona di aver messo in piedi la truffa. Racconterà poi di aver sporto denuncia alla Polizia Postale. Non è così. I suoi legali oggi spiegano che le consigliarono di non farlo per opportunità lavorativa: «L’esperienza in Vaticano era a tempo, lei è una pierre e con i giornalisti avrebbe dovuto lavorarci». In quei giorni direttore della Polizia Postale, titolata a indagare sui tweet, è Antonio Apruzzese. Dalla Polizia confermano alla Stampa che Chaouqui si presentò da loro, al comando di viale Trastevere. Ma alla fine non presentò la denuncia. Perché? La dissuasero a non farlo? O non credevano alla storia degli hacker?
Chaouqui non si ferma, però. Secondo gli investigatori chiede anche a Paolo Berlusconi, editore del Giornale di non far più scrivere Ragona. E il giornalista per un po’ non scriverà. In quei mesi però gli viene commissionato un pezzo da Panorama, sempre sulla pr. Uscirà a novembre. Ma prima dell’articolo Ragona riceve strane chiamate, strani tweet. Poi al giornale arriva una telefonata. Di Sauro Moretti. Vuole parlare con il giornalista. È un imprenditore di Forlì, re delle serate in riviera e braccio destro di Vittorio Sgarbi con il quale è presente più volte a cena da Silvio Berlusconi. Moretti è tra gli indagati per concussione, assieme a Chaouqui. Sabato ha detto di non aver ricevuto avvisi di garanzia e di averla vista «due mezze volte». In realtà avrebbe cercato Ragona per dissuaderlo a scrivere un altro articolo su Chaouqui, sostenendo di conoscerla bene e di essere amico anche di molti politici.