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 2015  dicembre 07 Lunedì calendario

Nel nostro Parlamento ci sono venti partiti che nessuno ha votato

Un gruppo di cittadini si riunisce, fonda un’associazione, che poi diventa un movimento politico, sceglie un simbolo, si trasforma in partito, si presenta alle elezioni e – se va bene – entra in Parlamento. In un mondo normale funziona così. In Italia succede l’esatto contrario: i partiti nascono direttamente in Parlamento e poi – se va bene – alle elezioni superano a malapena lo sbarramento. Ma il più delle volte spariscono definitivamente. Nel frattempo, però, godono di rappresentanza istituzionale e magari di contributi pubblici, pur essendo totalmente privi di una legittimazione popolare.
Nel nostro Parlamento sono addirittura venti i partiti che nessuno ha votato alle elezioni politiche. Perché non esistevano o comunque perché non si erano presentati con il loro simbolo. Eppure sono riusciti a intrufolarsi dalla porta sul retro e hanno piazzato la loro bandierina, raccogliendo l’adesione di qualche deputato o senatore (eletti con altri partiti in listini bloccati): parliamo di circa 200 onorevoli, uno su cinque. E con l’Italicum il fenomeno non è destinato a fermarsi, anzi. Alle elezioni saranno tutti uniti sotto lo stesso partito (visto che non sarà possibile formare coalizioni), ma pronti a spaccarsi in decine di gruppi una volta in Parlamento.
L’ultimo arrivato è Italia Unica, il movimento di Corrado Passera. L’ex ministro di Monti ha deciso di tentare la sfida elettorale, candidandosi sindaco a Milano. Intanto, però, ha messo un piede alla Camera. Anzi, due piedi: quelli di Guglielmo Vaccaro, che era stato eletto con il Pd. Ora si è alleato con i colleghi di Idea, che sta per Identità e Azione, formazione guidata da Gaetano Quagliariello: ha solo dieci giorni di vita e già sette parlamentari. Provengono quasi tutti da Area Popolare, creatura politica che ha visto la luce proprio in Parlamento dalla fusione di Udc e Ncd. Un partito, quest’ultimo, anch’esso nato e cresciuto tra Camera e Senato dopo l’esplosione del Pdl-Forza Italia. Il big bang berlusconiano ha dato vita anche all’Ala di Verdini (Alleanza Liberalpopolare-Autonomie), ai Conservatori & Riformisti di Fitto, e a Insieme per l’Italia di Bondi (ne fanno parte lui e la compagna Manuela Repetti). Che dire, un Parlamento fecondo.
Per tutti, il vero obiettivo è superare lo sbarramento. Non quello della legge elettorale, bensì quello fissato dai regolamenti: 10 membri in Senato, 20 alla Camera. Chi lo supera può formare un gruppo autonomo e incassare i contributi pubblici (50 mila euro per ogni deputato, 67 mila per ogni senatore). Chi non ha i numeri può formare una componente nel gruppo Misto. E allora tutti nel Misto, che alla Camera è diventato il terzo gruppo per numero di aderenti (62) e conta tra le proprie fila, tra gli altri, gli ex M5S di Alternativa Libera alleati dei civatiani di Possibile.
Al Senato si trovano tracce della diaspora grillina dentro il gruppo Gal, dove si è formata la componente “Federazione dei Verdi” di cui faceva parte anche Bartolomeo Pepe, che poi però ha dato vita al Movimento Base Italia. Ma gli ex grillini sono anche nel Misto, dove hanno portato L’Altra Europa con Tsipras e persino l’Italia dei Valori. L’ex M5S Bignami, invece, si tiene stretta il suo Movimento X, che guarda a Podemos. Nella fauna del Misto ci sono poi gli ex leghisti di Fare! (il partito di Tosi), gli ex montiani (Mario Mauro con i Popolari per l’Italia e Maurizio Rossi con Liguria Civica, mentre quelli di Democrazia Solidale sono prevalentemente alla Camera) e il vendoliano Stefàno (La Puglia in Più). L’ex sottosegretario Michelino Davico, eletto con la Lega, passato a Gal, quindi all’Idv, adesso tiene alta la bandiera dei Moderati nel gruppo Grandi Autonomie e Libertà. Più libertà di così.