Corriere della Sera, 7 dicembre 2015
Samra, la sedicenne viennese morta ammazzata di botte in nome di Daesh. Voleva tornare a casa
«Molto religiosa Samra? Se coprirsi i capelli è essere molto religiosi, negli ultimi tempi lo era. Ma secondo me dell’Islam sapeva poco. Non è andata in Siria per quello», dice Angela, 17 anni, davanti alla porta a vetri della scuola che entrambe hanno frequentato. Già, questa è la domanda alla quale dovremmo rispondere: perché Samra Kesinovic e la sua amica Sabina Selimovic, due ragazze musulmane di Vienna, sono partite, il 10 aprile 2014, per la Siria? Avevano 16 e 15 anni, quel giorno. Sono volate in Turchia, via terra hanno attraversato il confine e, una volta raggiunti i miliziani di Daesh, si sono sposate con due «combattenti» ceceni. Lo scorso inverno, è arrivata la notizia che Sabina sarebbe morta durante un bombardamento a Raqqa, dove vivevano. Pochi giorni fa, una signora che le aveva conosciute in Siria ha detto ai giornali austriaci che anche Samra è morta: massacrata di botte mentre cercava di fuggire e tornare a casa.
Religione? Ideologia? Scelta politica? O semplice ribellione giovanile vestita di islamismo? Durante l’intervallo di pranzo, gli studenti del «Bhak Wien 10», l’istituto commerciale che Samra frequentava, escono dal grande edificio color ocra, fumano, mangiano pezzi di pizza. Alcune ragazze portano il foulard per coprire i capelli, la maggior parte no. Angela e i suoi compagni di classe raccontano che sì, sapevano delle idee di Samra. Aveva anche scritto su un muro della scuola «Amo Al Qaeda», vicino a un cuore. «Ma avrebbe potuto scrivere “Amo Justin Bieber”», dice Stephan. Siamo nel quartiere Favoriten della capitale austriaca, case popolari, alta densità, urbanizzazione di inizio Novecento, gli anni della Vienna Rossa. Lontani, però, dai grandi edifici dove la classe operaia si organizzava in cooperative, dall’immenso Karl-Marx-Hof, edificio proletario dove tutto era in comune. Qui, ora prevale una media borghesia, spesso immigrata, frammentata in comunità diverse ma in fondo integrata. Nei primi anni Novanta, nel quartiere sono arrivati anche i profughi musulmani che fuggivano la guerra in Bosnia, a migliaia.
Samra Kesinovic e Sabina Selimovic, grandi amiche fin da piccole, venivano proprio da due famiglie bosniache, non praticanti. Occhi azzurri, volti intelligenti, a casa nessuno le aveva costrette a mettersi un velo, a coprirsi i lunghi capelli. Da piccole giocavano nel cortile di casa Kesinovic – ha raccontato ai giornali la loro migliore amica, Azra. Andavano in discoteca, portavano jeans attillati, si truccavano – dicono i compagni di scuola. Giravano la città con il loro amico inseparabile, Waha, un po’ più grande: di origini cecene, parlava della sua terra, delle ingiustizie del mondo, dell’Islam. Hanno iniziato a frequentare la moschea Hidaya, nel quartiere del Prater. Il 10 aprile 2014, i Kesinovic e i Selimovic hanno trovato i messaggi con i quali le loro figlie annunciavano la partenza, l’adesione all’Islam radicale fino alla morte. «Arrivederci in paradiso».
Il direttore della «Bhak Wien 10», Peter Slanar, ricorda di avere avuto un colloquio con Samra e sua madre, poco tempo prima che partisse. Si era scritta sulla mano la solita «Amo Al Qaeda» e attorno cuoricini, come fanno le ragazzine di tutto il mondo tra delicatezza e romanticismo. Colloquio inutile. Era come se fosse stata sottoposta a un lavaggio del cervello, una volta uscita da una moschea – racconta. «Questi giovani che da Vienna o da Parigi partono per la Siria, in fondo non sono del tutto diversi dai giovani terroristi tedeschi e italiani degli anni Settanta – dice Heinz Gärtner, direttore accademico dell’Österreichisches Institut für Internationale Politik di Vienna —. Partono da una ribellione di fondo: allora trovavano risposta nell’ideologia marxista, oggi in certe forme di Islam. Le differenze sono che allora almeno c’era un dibattito, oggi no; e che adesso c’è dietro uno Stato, o uno pseudo-Stato. Credo che il fenomeno si potrà trattare allo stesso modo».
L’ideologia violenta e settaria c’entra, ma in effetti per giovani come Samra e Sabina arriva dopo. Prima c’è il disagio del sentirsi diversi e «meno riconosciuti» rispetto alle comunità locali – dice Gärtner – che poi diventa radicalizzazione: solo a quel punto interviene l’ideologia coperta da religione, l’islamizzazione del radicalismo. «Come nel caso di Samra e Sabina, i ragazzi e le ragazze che partono per combattere in Siria, dall’Austria circa 250, sono molto più giovani degli uomini che partivano per la Bosnia o per l’Afghanistan negli anni passati – spiega Daniela Pisoiu, specialista per i problemi della radicalizzazione dell’Oiip di Vienna —. Quelli avevano 30-35 anni, spesso di più. Oggi siamo sotto i 30 anche di molto. E, in genere, non hanno una forte formazione politica». Daniela Pisoiu fa notare che il metodo per reclutarli, in gran parte via social network, non è quasi mai giocato sulla religione o sulla ricerca della giustizia. «È un’offerta che risponde alle sottoculture dominanti in Occidente. Armi, comportamenti molto maschili, paesaggi idilliaci, anche molta estetica. Nei video di reclutamento ci sono paralleli evidenti con le tecniche hollywoodiane. L’ideologia e la religione contano oggi molto meno che in passato, almeno all’inizio: arrivano dopo». E l’integrazione di questi giovani in Occidente, sostiene, «non è il primo motivo di adesione al radicalismo: la maggior parte viene da famiglie integrate». Un’altra novità è il numero di ragazze che si avvicinano all’Isis: su circa quattromila foreign fighters, 550 sarebbero donne, stima l’Institute for Strategic Dialogue del King’s College di Londra.
Problema serio, difficile da affrontare per le autorità: prima che partano, durante la loro permanenza con Daesh, quando tornano. I ministeri degli Esteri e degli Interni austriaci non confermano che anche Samra Kesinovic sia morta. Fatto sta che nei giorni scorsi la pagina a lei dedicata nell’elenco dei ricercati dall’Interpol è stata rimossa. A Vienna, però, fanno notare che, a differenza di quanto avevano scritto alcuni media, non è vero che le autorità austriache abbiano impedito alle due ragazze di tornare. Resta però il problema di una legge recente sulla base della quale chi aderisce a un’organizzazione terroristica commette un reato penale e finisce in carcere. Che è comprensibile ma non è detto – nota Pisoiu – che la prigione aiuti la de-radicalizzazione.
E, in fondo, forse ha ragione Angela: Samra e Sabina non sono andate in Siria perché la religione glielo ha chiesto. E nemmeno perché non erano integrate a Vienna. L’ideologia di morte di Daesh è l’abito nero che ha vestito il loro radicalismo, la loro ribellione, la quale era probabilmente precedente alla scelta. Le due giovani austriache non sono la prova che, in Occidente, un Islam moderno non può esistere. Dell’ideologia dei taglia-teste sono vittime, non protagoniste.