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 2015  dicembre 06 Domenica calendario

Paolo Isotta racconta Giovanna D’Arco. Domani sera l’opera di Verdi inaugura la stagione della Scala

La mia conoscenza di Giovanna d’Arco risale a quando, acquistate le opere complete di Anatole France, lessi la biografia dell’eroina, contenente pure gli atti dell’infame processo alla quale ella fu sottoposta: consiglio a tutti questa straordinaria opera storica e letteraria. Il dramma di Federico Schiller La pulzella d’Orleans, del 1801, fu all’origine di numerose Opere liriche delle quali le principali sono la Giovanna d’Arco di Verdi e La pulzella d’Orleans (1879) di Ciaikovskij, pur essa meravigliosa. Giovanna è poi la protagonista dell’Oratorio, con ruoli parlati, Jeanne d’Arc au bûcher di Arthur Honegger su testo di Paul Claudel (1938). Quando venne rappresentato al San Carlo di Napoli colla regia di Roberto Rossellini Honegger stette col pompiere di servizio giacché nessuno s’interessava a lui, tutti stando appresso a Ingrid Bergman. La Giovanna d’Arco venne eseguita alla Scala il 15 febbraio del 1845. L’autore del testo è Temistocle Solera, che per il compositore aveva vergato il primo Libretto, quello dell’Oberto conte di San Bonifacio; il Libretto del primo successo planetario del Maestro, quello del Nabucodonosor, e quello dell’Opera successiva, I Lombardi alla prima Crociata. Questo titolo, riscritto tanto da diventare un’Opera nuova, nella qualità di Jérusalem fu nel 1847 l’approdo del giovane ma già per tutti temibile italiano all’Opéra di Parigi restando uno dei suoi esiti sommi: e in realtà i più grandi autori di melodrammi francesi sono nell’Ottocento, a parte Berlioz, Bizet e Massenet, Rossini, Donizetti e Verdi: credo che solo i Troyens del primo siano all’altezza dei capolavori francesi dei tre: di Donizetti monumentali e drammatici sono Les Martyrs e l’estremo Dom Sébastien.
Solera, dalla vita avventurosa sino all’incredibile, non gode di buona stampa: è poeta ispirato e dalla cultura profonda: mostrai in un tratto del Nabucco la parafrasi d’uno dell’Adelchi di Manzoni. Il Libretto della Giovanna d’Arco, ben vero assurdo nello svolgimento causale – se assurda non fosse la verità effettuale onde la Tragedia stessa di Schiller promana –, è accusato a un tempo di eccessiva aderenza alla fonte letteraria e di scarso rispetto per essa: a me pare bello; soprattutto, crea situazioni atte a favorire l’altissima musica di Verdi.
Il punto è che la stessa Opera gode di una singolare sottovalutazione critica. La si giudica volta alla ricerca del mero effetto; e la si accusa d’esser piena anche di luoghi sommari, bandistici e d’orchestrazione grossolana. Gli anni che mi restano da vivere saranno dedicati a farmi perdonare del peccato d’esser caduto anch’io in siffatte stupidaggini a proposito di tanta produzione del giovane Verdi; ma ho già incominciato a sfatarle.
La prima accusa tocca la pretesa volgarità del Valzer col quale gli spiriti infernali appaiono a Giovanna. Non si comprende ch’essi vengon raffigurati siccome appaiono a lei, pastorella, coi mezzi della sua piccola immaginativa; né che Verdi, in questo italianissimo, è portato a concepire il demoniaco in forma concretamente grottesca: si pensi alle Streghe del Macbeth. Questi spiriti infernali della Giovanna rassomigliano a certi diavoli grotteschi dell’Inferno di Dante.
In realtà, mancanza di Balletti a parte, la Giovanna è un meraviglioso Grand-Opéra francese in italiano: lo palesa il secondo atto con la scena dell’incoronazione nel Duomo di Reims con dialogo fra orchestra e banda: solo Meyerbeer, coll’incoronazione nel Duomo di Leyda del Prophète (1849), una delle cose più ammirate da Verdi nell’altrui Melodramma, fa qualcosa di più grandioso: Verdi supererà qualunque altro fin lì venuto in grandiosità, salvo Wagner, col francese Don Carlos (1867), pur esso da Schiller; ma Meyerbeer non giunse mai a una rappresentazione delle passioni toccante e profonda come quella della Giovanna d’Arco.
I Concertati pieni di melodia, collo giustapporsi e contrapporsi delle passioni; le toccanti Arie, con quella capacità della melodia di crescere sviluppandosi che fa di Verdi il solo erede di Bellini; il forte drammatismo col quale la forma musicale è piegata a nuovi effetti (penso in particolare al Duetto finale del I atto) e la rappresentazione drammatica forte e concisa; l’uso dell’armonia; la battaglia e la tempesta orchestrali: sono cose eccelse.
Ho chiuso colla critica musicale e non sarò alla Scala: ho ascoltato peraltro la Giovanna d’Arco sotto la bacchetta d’un sommo, Gabriele Santini, con una somma interprete, Renata Tebaldi; e sotto la bacchetta di due grandi, James Levine e Nello Santi, con due grandi soprani, Montserrat Caballè e Mariella Devia: sono soddisfatto.
Nel Museo Civico di Catania è allogato il dipinto di Natale Attanasio Sunt lacrimae rerum. Raffigura le recluse d’un manicomio femminile: le Damazze alla “prima”.