Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 2015
Milano alla riscossa: dal dopo Expo alla prima Scala è la città della ripresa
Una canzone del 1965, «Innamorati a Milano», definisce questa città «impossibile». Memo Remigi che la interpretò in molteplici occasioni utilizzava anche la variante «incredibile». Ora Giuseppe Verdi, dopo un secolo e mezzo, torna a Sant’Ambrogio alla Scala con la sua Giovanna d’Arco in una città che ha dimenticato con Expo l’aggettivo «impossibile» per realizzare, come sua abitudine, quello che è considerato «incredibile». Ovviamente non stiamo riferendoci agli innamoramenti, ché in tal caso epiteti e canzoni spiegano ben poco, anzi nulla. Milano non è più da bere ma sta capitalizzando i consensi di Expo, si mette al timone della ripresa economica, aspetta i nomi definitivi dei candidati alla non tranquilla poltrona di sindaco.
Non ha deluso il mondo, come qualcuno avrebbe sperato, onorando la segnalazione che il New York Times le ha dedicato il primo gennaio di quest’anno. Città da visitare, meta da non perdere per mille ragioni.
Si presenta rinnovata. La zona della Darsena, per esempio, è diventata bella, di moda, frequentatissima: dove sino a un paio di anni fa c’erano erbacce e topacci ora – soprattutto in questi giorni di Sant’Ambrogio – ci sono mercatini, negozi, piste di pattinaggio; c’è anche Babbo Natale che ritira le letterine dei più piccoli.
E la prima della Scala, pur con i controlli ferrei per proteggere l’evento dalle fantasie della violenza fanatica, resta lo specchio di Milano. Chi conta, chi emerge, chi è passato in seconda fila, chi c’è e chi no lo diranno le presenze nel foyer.
La contestazione fuori, in piazza, è anch’essa parte della tradizione. Quest’anno, però, ci saranno soltanto trenta minuti di intervallo per le passarelle interne, giacché i quattro atti dell’opera sono stati riuniti in due parti per non disperdere eccessivamente le due ore di musica.
Dopo il gran numero di rappresentazioni programmate per Expo, la Scala con l’inaugurazione di domani entra in una fase di stabilità e di progetti che guardano al mondo; tra l’altro il teatro è coinvolto nel piano che desidererebbe portare i depositi di Pero e i laboratori dell’Ansaldo in un grande Hub, riunendoli nell’area in cui si è svolto l’evento, forse in collaborazione con i magazzini che Pinacoteca e Accademia di Brera lì avranno. Potremmo aggiungere che Giovanna d’Arco apre la stagione anche di questi programmi. In un teatro che desidera riavere i suoi primati.
Qualcuno aggiungerà che l’opera di Verdi si consente delle licenze storiche, perché la “Pulzella” non muore sul rogo, come narrano le cronache, ma nella pugna; inoltre che il librettista Temistocle Solera – il quale riprese la storia da Schiller – scriveva «raffazzonando, talvolta con pezzi altrui» (Guido Mazzoni).
Peccati veniali, anche perché Verdi più che la trama si curò delle voci e, come ci confidava giorni fa Riccardo Chailly, chi ascolta quest’opera si emoziona sino all’ultima scena, dove un magistrale concertato in mi bemolle minore (tonalità veramente atipica) demulce con grazia il sistema nervoso. Le grandi capacità del compositore – siamo nel 1845, l’ultima rappresentazione alla Scala è del 1865 – furono spese per cesellare le parti vocali.
Alla protagonista, Giovanna, interpretata dal soprano Anna Netrebko (la scaligera 1865 ebbe Teresa Stolz, amata da Verdi non soltanto per le qualità canore), il compositore chiede una tessitura che va dal re sovracuto al do sotto il rigo, qualcosa di incredibile per una voce sola. Insomma deve possedere tecnica e capacità interpretative non comuni e ci sembra che la Netrebko sia una scelta felicissima. E poi Chailly è un verdiano di grande esperienza, tra i massimi del nostro tempo. Riporterà alla Scala emozioni oltre le attese.
Ci sembra artificiale collegare Giovanna d’Arco, programmata tempo fa, alla reazione (o riscossa) della Francia contro il terrorismo; meno che mai è il caso di intendere l’opera come qualcosa che non volle essere. La regia potrà attualizzare, far riferimenti, suggestionare; comunque il tema della Pulzella d’Orléans è caro alla musica dalla fine del Settecento (fu bruciata nel 1431) e, prima di Verdi, si cimentarono sia Rossini con una cantata per soprano e pianoforte dedicata a Olympe Pélisser (donna dalle qualità opposte della vergine martire), sia Liszt con un Lied. Se ne contano più di una decina.
Certo, in questo momento la scelta sembra ideale. O forse è meglio dire che Milano ha avuto la possibilità di essere anche preveggente.