il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2015
Ecco perché bisogna ascoltare Vecchioni (anche se è indigesto)
È arduo trovare un cantautore più indigesto di Roberto Vecchioni. Ogni volta che parla, lo fa con un atteggiamento di superiorità sconfinata, e se capita di parlarci lascia sempre intendere di essere il terzo più grande cantautore italiano (prima di lui solo De André e Gaber). E la cosa buffa è che pare crederci davvero, mostrando così di ignorare come un Fossati gli sia sideralmente superiore e con lui tanti altri: da Conte a De Gregori, da Guccini a Graziani. Verrebbe quindi voglia di unirsi agli insulti con cui è stata salutata la sua spericolata provocazione sulla Sicilia. Vecchioni andrebbe criticato per la boria, o perché il suo ultimo bel disco risale forse al cenozoico. Fermarsi ai titoloni – “Sicilia isola di merda” – è invece un esercizio di rara disonestà intellettuale. Basta ascoltare l’intervento integrale per capire come – scandendo odiosamente le parole – Vecchioni stesse sottolineando con chiarezza intellettuale quanto amasse la Sicilia e quanto per questo fosse ferito da quella sensazione di buttarsi via. Parere opinabile, ma lecito. Più ancora: provocazione artistica, che ha peraltro funzionato perché se ne sta parlando tanto. Anche questo deve fare l’artista: costringere gli altri a pensare, talora forzando i toni. Il problema di molti intellettuali, oggi, è la pavidità: il jovanottismo pallosetto e correo. La storia della canzone d’autore è piena di provocazioni analoghe. De André che esortò a votare Partito Sardo d’Azione per attirare l’attenzione su un’isola che amava. Gaber che si scagliò contro Aldo Moro, per attaccare la retorica del caro estinto. L’intemerata di Battiato sulle “troie”. Attaccate Vecchioni perché è convinto di essere il più grande cantautore vivente: non perché, ogni tanto, ci costringe meritoriamente a pensare più del solito.