il Giornale, 6 dicembre 2015
Il giubileo al tempo dell’autoindulgenza
C’era bisogno di questo Giubileo? No, non sono uno di quei romani scettici che temono (con qualche ragione) traffico e attentati, sono un provinciale cattolico a cui il maxi evento religioso non dovrebbe causare particolari problemi, eppure non riesco a convincermi della sua necessità. La domenica in chiesa vedo moltissime persone in fila per la comunione, pochissime avvicinarsi al confessionale: qualcosa non torna. Visto che nei giorni feriali trovare un confessionale presidiato è un’impresa difficile quasi quanto trovare un vescovo disponibile a dire in pubblico ciò che dice in privato di Papa Francesco, ne deduco che a confessare abitualmente i propri peccati sia una sparuta minoranza. Viviamo nell’epoca dell’autoindulgenza: i cattolici italiani sono in stragrande maggioranza convinti di non peccare e quindi non hanno alcun bisogno di un Giubileo dedicato alla misericordia di Dio. Hanno preso molto alla lettera la scritta scolpita nel travertino del Colosseo quadrato: «Un popolo di artisti di eroi / di santi...». Pio XII già lo sapeva nel 1946, quando l’Italia era all’apparenza ancora molto cattolica: «Il peccato del secolo è la perdita del peccato». Cosa direbbe oggi che il cattolico medio fa tranquillamente la spesa la domenica e vede del buono nelle unioni omosessuali, conformandosi in questo al sentire generale e al sentire dei cardinali Kasper e Schönborn in particolare? Gli verrebbe un coccolone, al povero Papa Pacelli, se vedesse a quale punto è ridotta la cristianità.
Nel presente clima di autoassoluzione e lassismo il Giubileo della misericordia è pioggia sul bagnato. A dispetto anche del Santo Padre che nella bolla di indizione, la Misericordiae Vultus, invita a riscoprire le opere di misericordia spirituali fra cui spiccano l’insegnare agli ignoranti e l’ammonire i peccatori. Il messaggio che passerà, che sta passando, è di segno opposto. Provi oggi un prete ad ammonire dal pulpito sodomiti e adulteri: prima del linciaggio mediatico rischierà quello curiale e parrocchiale. Provi oggi un credente a spiegare a chi convive che dovrebbe sposarsi, a chi si sta separando che dovrebbe tornare sui suoi passi, a chi usa anticoncezionali che dovrebbe aprirsi alla vita: gli andrà bene se si limiteranno a dirgli di farsi i casi suoi. Sentivo piuttosto il bisogno di un Giubileo del Timor di Dio, perché il settimo dono dello Spirito Santo (così viene definito nel catechismo) è alquanto in ribasso, è un regalo che nessuno vuole più ricevere. Mentre è facile ricordare, perché fa comodo, la bontà divina, c’è una crescente difficoltà a credere nella già proverbiale ira di Dio, che è un sentimento del Padre e pure del Figlio: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno» tuona Gesù nel Vangelo di Matteo rivolgendosi a peccatori anche blandi, colpevoli di semplici e comunissime omissioni. Altro che misericordia, «Dio vuol che ’l debito si paghi», ribadisce Dante nel Purgatorio. Avrei voluto un Giubileo che sbugiardasse il cattolicesimo sincretista e sentimentale, mondano e inutile di chi pensa sia lecito servire al contempo Dio e Mammona, Cristo e Maometto, la Madonnina e i grattacieli, i santi e Halloween, il presepe e l’albero di Natale, la sapienza e la scienza, i bambini ed Elton John... Mi sembrava più urgente un Giubileo in stile dantesco che in stile Papa Francesco, ma certamente sbaglio perché non siamo nel XIV secolo e inoltre, al contrario del Sommo Pontefice, non sono assistito dallo Spirito Santo. Vorrei anch’io venire illuminato e capire il senso di un Giubileo che in un’epoca di profonda crisi morale sussurra agli uomini che la morale non è poi così importante.