La Stampa, 6 dicembre 2015
La Cassa depositi e prestiti, braccio finanziario di Renzi
Sono passati quasi sei mesi dal blitz estivo che ha portato alla guida della Cassa depositi e prestiti il nuovo presidente Claudio Costamagna e Fabio Gallia come amministratore delegato. E tra meno di due settimane – giovedì 17 è previsto un consiglio d’amministrazione che dovrà approvare il nuovo piano industriale – la Cdp spiegherà la sua missione sotto il vertice rinnovato e, in ultima istanza, chiarirà a che cosa sia servito quel ribaltone d’estate e l’arrivo di due nomi così pesanti della finanza nella sede romana di via Goito.
Gli obiettivi
«La missione di Cdp non cambia. Rimane la stessa con attori nuovi», aveva dichiarato il 30 giugno scorso, in un’intervista al Sole 24 Ore, il premier Matteo Renzi. Ma alla luce delle prime indiscrezioni sul nuovo piano industriale, le cui bozze stanno circolando tra il consiglio della stessa Cassa e i suoi azionisti, si può dire che l’affermazione di Renzi sia esatta solo in parte.
La missione della Cdp, infatti, non cambia per quel che riguarda l’amplissimo ventaglio di attività previsto dal suo statuto: dal finanziamento degli enti locali al sostegno alle imprese, dagli investimenti in infrastrutture alle partecipazioni in «società di rilevante interesse nazionale». Dove invece peso e ruolo della Cassa si modificano è in almeno due punti: il primo è il nuovo status – introdotto nella legge di stabilità – di Istituto nazionale di promozione.
Il nuovo status
La nuova «ragione sociale» di Cdp significa innanzitutto che potrà utilizzare i fondi previsti dal piano Juncker per i Fondi europei dedicati alle infrastrutture, che in Italia dovrebbero mobilitare 8 miliardi. Ma grazie al nuovo status ottenuto, la Cassa dovrebbe anche essere in grado di avere una posizione negoziale più forte nel confronto con il suo principale azionista, ossia il ministero dell’Economia, e di poter mobilitare risorse attraverso coinvestimenti con una varietà di soggetti, dai fondi pensione alle compagnie assicurative, dalle stesse Fondazioni bancarie che della Cassa sono anche azioniste, ai fondi di private equity. Costamagna e Gallia non hanno in mente un hedge fund, come è ovvio – spiega chi ha potuto vedere le bozze del piano industriale – ma un soggetto che possa comunque dialogare alla pari con i grandi investitori istituzionali internazionali, contribuendo anche in questo modo a indirizzare i loro capitali verso l’Italia.
Il braccio operativo
L’altro aspetto della Cassa che muta è di natura più politica, almeno in senso lato. Passata la fase del credit crunch e dei finanziamenti alle imprese, in un mondo dove oggi il denaro costa davvero poco il compito della Cdp sarà diverso: meno difensivo e più aggressivo nel cercare strategie di crescita per il Paese. Chiamatela braccio operativo del governo, o hub per gli investimenti strategici; quel che è certo è che la Cassa, con il suo nuovo piano – messo a punto dai consulenti di McKinsey e che non a caso si estenderà sul medio periodo dei cinque anni invece dei soliti tre anni – sarà sempre di più lo strumento con il quale Renzi vuole fare politica industriale. E in una fase come questa, dove sulla ripresa il governo si gioca quasi tutto e un decimale di crescita del Pil in più o in meno può riflettersi immediatamente nei risultati elettorali, è quasi inutile sottolineare quanto la missione della Cdp sarà centrale.
I fondi
Quanti saranno i fondi messi in campo non è ancora del tutto definito, ma si può pensare che nell’arco di cinque anni si possano mobilitare risorse per oltre 150 miliardi di euro, forse arrivando vicini ai 200 miliardi. Dunque, più attività di sostegno alle imprese attraverso una serie completa di strumenti – dal fondo per le start up, alla nascitura banca per l’internazionalizzazione – che promettono di portare le aziende dalla culla alla maturità, o in caso d’emergenza (per quello c’è il fondo di turnaround industriale) anche in sala di rianimazione. E poi maggiore rapidità nell’utilizzo e nella dismissione del patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione – magari anche con un apposito veicolo quotato in Borsa – con un occhio anche alle esigenze pubbliche, come ad esempio l’housing sociale e la sistemazione degli immigrati.
I passaggi di queste settimane stanno provocando anche alcune scosse di assestamento nel sistema dentro e attorno la Cdp. La banca per l’export su cui il governo ha grandi aspettative per spingere le imprese italiane verso i mercati internazionali, nascerà ad esempio dalla fusione tra alcune attività della Sace e quelle della Simest, la finanziaria per l’internazionalizzazione delle imprese, entrambe controllate da Cdp. L’operazione rafforzerà dunque in qualche modo i poteri di Sace ma sancirà anche il suo completo inserimento in una logica di gruppo all’interno della Cassa.
Il ruolo di Fsi
Allo stesso modo cambierà il ruolo del Fondo strategico italiano, che sarà spogliato delle partecipazioni più strategiche – ad esempio il 12,5% di Saipem o il 45% di Ansaldo Energia – e dovrà invece trasformarsi in un fondo di «crescita», che accompagni in un percorso le aziende ad alto potenziale, pensando poi a una via d’uscita – quotazione in Borsa o vendita a un altro soggetto – nel medio periodo. O ancora, oltre che a fornire consulenze agli enti locali, la Cdp nel nuovo formato sarà probabilmente anche in grado di muoversi in modo attivo per le aggregazioni delle tante utilities locali, aiutando a concentrare quel mondo delle municipalizzate che il governo intende disboscare. Quale sarà la reazione delle stesse municipalizzate e dei loro tanti consiglieri e manager? E come la prenderanno le banche d’affari che finora si sono occupate di progetti di questo genere? Saranno temi di dibattito delle prossime settimane, mentre sullo sfondo resta la questione ancora da risolvere in modo chiaro della funzione della Cassa nelle partite che il governo considera o considererà strategiche per il Paese. Niente protezionismo, è la parola d’ordine che circola, ma nemmeno troppi pudori a muoversi quando sono in ballo assetti industriali che in Francia o in Germania verrebbero difesi. Principi ancora abbastanza larghi e vaghi, insomma, da lasciare ampi spazi di applicazione quando si tratterà di giocare qualche partita effettiva.