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 2015  dicembre 06 Domenica calendario

L’Isis, come un’organizzazione criminale qualunque, taglieggia i dieci milioni di abitanti dei suoi territori

Non di solo petrolio è fatta l’economia dell’Is, che per finanziarsi ha inventato tasse pagate dalle malcapitate popolazioni delle zone occupate (oggi circa 10 milioni di persone) e poi dazi, gabelle di ogni tipo a carico di commercianti, piccoli imprenditori, cittadini. Per non parlare delle multe inflitte per i motivi più opinabili, dal fanalino rotto dell’auto a una sigaretta fumata in pubblico. Le iniziative non conoscono freni. A Mosul i miliziani hanno trasformato una stazione di polizia in un mercato: i negozi pagano 2,8 milioni di dinari iracheni l’uno d’affitto, 2.300 euro. Gli esattori sguinzagliati nella “capitale” Raqqa – rivela il New York Times calcolando in 8-900 milioni di dollari gli incassi annui extra- petroliferi – vanno in giro a pretendere il pagamento della nuova tassa sulla spazzatura, che peraltro non viene mai raccolta: da 2500 a 5000 sterline siriane, 6-12 dollari. E i residenti sono costretti a pagare le bollette di luce, acqua e gas.
Una delle forme di taglieggiamento più odiose è il “dazio” imposto dallo Stato islamico a chi è costretto ad attraversarlo per i propri commerci: 700 euro per camion. Un cappio a doppia mandata: sulle aziende che inviano le merci c’è un’imposizione del 20% del fatturato. Evitare queste rotte sarebbe costosissimo perché imporrebbe giri pazzeschi per le montagne della Turchia, dell’Armenia, dell’Azerbaijan. I fondi affluiscono copiosi dai riscatti per i sequestri, traffici di armi, contrabbando di beni archeologici, saccheggio di banche e casseforti delle città occupate. Solo a Mosul i miliziani si sono impossessati di 520 milioni di euro. Gran parte di questo fiume di denaro è investito in fondi d’investimento arabi compiacenti. Qui la risoluzione Onu chiesta da Usa e Russia potrà colpire se ci sarà la collaborazione dei presunti amici dell’Is, Arabia Saudita, Kuwait, in misura minore Emirati, la sospettata speciale Turchia. «Non sarebbe impossibile effettuare un’opera di moral suasion, come quella che fu fatta con la Svizzera – spiega Angelo Baglioni, economista internazionale della Cattolica – affinché i fondi verifichino con precisione l’identità di chi conferisce capitali, identificando le fonti la cui pecunia olet. Ma prima di arrivare al fondo i soldi hanno subito così tanti passaggi da confondere le tracce». Una volta entrati nel circuito, i soldi diventano legali, come nel riciclaggio della mafia, e bloccare i proventi è arduo. Il meccanismo è colossale: la finanza islamica, in massima parte legale, muove capitali, ricorda Standard&Poor’s, per 1.800 miliardi di euro, in ulteriore aumento malgrado crolli petroliferi e guerre. Mercato di riferimento, Londra: «La Gran Bretagna va a bombardare i pozzi ma reclama un ruolo centrale nel trading sugli strumenti finanziari arabi», osserva Brunello Rosa, capo a Londra del Roubini Global Economics. «Una tendenza che si accentuerà se Londra uscirà dall’Ue».
E il petrolio? Comincerebbe a vacillare il primato come fonte di finanziamento. «La produzione è crollata a 15mila barili, che fruttano meno di 360mila dollari sul mercato nero», afferma Leonardo Maugeri, docente di geopolitica dell’energia ad Harvard. «I colpi inferti dalla coalizione sono stati micidiali». L’Is però vende cara la pelle: il Financial Times ha rivelato l’esistenza di raffinerie mobili occultate nelle zone di Mayadeen e al-Tayyaneh in Siria. «Si tratta – obietta Maugeri – di impianti così piccoli e artigianali da essere ininfluenti».