Corriere della Sera, 6 dicembre 2015
Lo yuan, o renminbi, cioè la moneta cinese, è entrato nel paniere delle valute che formano l’unità di riserva del Fondo Monetario. Significati della decisione
Chi non usa andare in Cina, difficilmente ha avuto tra le mani un renminbi, o yuan, cioè una banconota del Paese. Può essere stata una sorpresa, dunque, la decisione del Fondo monetario internazionale (Fmi) di introdurre, il 30 novembre, il renminbi nel paniere delle cinque valute – al fianco di quelle americana, dell’eurozona, nipponica e britannica) – che formano l’unità di riserva dell’Fmi stesso. Si è trattato del riconoscimento del ruolo sempre maggiore della Cina nell’economia del mondo. Ma è anche stata una decisione delicata.
La scelta di quali valute introdurre nel paniere avviene sulla base di due criteri: il volume delle esportazioni e il criterio di «valuta liberamente utilizzabile», cioè ampiamente usata nelle transazioni internazionali e commerciata nei principali mercati valutari. Nel primo criterio, il renminbi è potente. La quota di esportazioni di beni e servizi dalla Cina sul totale mondiale calcolata dallo staff dell’Fmi è stata in media del 10,5% nel periodo 2010-2014, in crescita dal 7,7% del quinquennio precedente. Si paragona al 18,3% dell’area euro (in calo dal 19,9% ), al 13,6% degli Stati Uniti ( 14,3% ), al 5% del Giappone ( 7,2% ), al 4,8% della Gran Bretagna ( 5,7% ). Questa è la ragione principale sulla base della quale la valuta di Pechino è stata introdotta nel paniere e con un peso significativo, il 10,92% della composizione, ancora molto meno del dollaro ( 41,73% ) e dell’euro ( 30,93% ) ma più dello yen ( 7,95% ) e della sterlina ( 7,74% ).
Anche il criterio di valuta liberamente utilizzabile, però, ha avuto un ruolo. I Paesi che detengono renminbi nei loro asset ufficiali in valuta sono passati da 27 a 38 tra il 2013 e il 2014. L’uso della moneta cinese da parte delle banche mondiali è salito all’1,8%. E le lettere di credito in renminbi sono state, tra la metà del 2014 e la metà del 2015, il 3,8% del totale mondiale (l’ 86% in dollari, il 7,1% in euro). Anche nei mercati finanziari la Cina cresce ma, insomma, non è certo una potenza. L’ammissione nel paniere del renminbi ne farà probabilmente crescere l’utilizzo e l’influenza. Soprattutto, dovrebbe garantire che Pechino rimanga sul tragitto di mercati finanziari aperti e non manipolati, altrimenti non potrebbe restare nel paniere dell’Fmi. Quest’ultima è forse la conseguenza più rilevante della decisione di dare un alto status a una valuta che, vista dall’Occidente, potrebbe sembrare non averlo.