Corriere della Sera, 6 dicembre 2015
Tarantino racconta il suo film «dove muoiono tutti»
LOS ANGELES «Ho diretto ormai molti film e Samuel L. Jackson è stato quasi sempre di fronte alla mia cinepresa. Questa volta è il protagonista in un film che considero comunque corale ed è al fianco di Kurt Russell e Jennifer Jason Leigh: muoiono tutti, mi sono divertito e impegnato molto».
Dopo la presentazione di The Hateful Eight, mentre sui lunghi titoli di coda ancora risuona la musica di Ennio Morricone, Quentin Tarantino sale sul palcoscenico con la sua solita apparenza svagata, ma in realtà attentissima e informatissima. Non vuole ricordare che il copione due anni fa apparve su Internet e il furto lo amareggiò al punto da voler rinunciare al progetto. Ha invece riscritto la sceneggiatura e il finale mentre non gli piace sentir definire la pellicola «soltanto un western».
Ride. «Certo: ci sono una diligenza, un saloon da tipico film western con sparatorie, duelli, brutti ceffi molto, molto inaffidabili e sfide all’ultima pallottola. E c’è anche una donna che prepara un caffè».
Il caffè si scopre essere avvelenato, e la suspense del film spiegherà chi è stato. Anche Kurt Russell, cacciatore di taglie che malmena appena può con pugni, calci e manrovesci che illividiscono il volto della donna da consegnare alla giustizia (Jennifer Jason Leigh) e ammanettata a lui per sicurezza, sarà intossicato a morte e vomiterà sangue come una fontana.
Nel sottoscala dell’orrida taverna c’è qualcuno e persino il bel volto di Channing Tatum, tra tanti ceffi da boia, sarà sfigurato… La pellicola dura più di tre ore ed è ambientata in tempi violenti e cupi, successivi alla guerra civile americana (1861-65). «Diciamo otto o nove anni dopo in un Paese, l’America, da sempre percorso da una forma di razzismo istituzionale anche se abbiamo un Presidente non bianco, che io amo e rispetto molto», afferma Quentin.
Non gli interessa parlare di dove sta andando il cinema e della sua crisi in tante trasformazioni dell’uso delle immagini e conferma di aver detto: «Non sono Nostradamus», ma aggiunge: «Non ho perso alcunché della mia passione per il racconto di storie e avventure che mi interessano e parti giuste da assegnare alle donne dei miei film, come la Daisy di Jennifer. Non scrivo mai al computer i miei film, ma su taccuini e con la penna in mano e senza guardare la tv, che in genere, a parte poche eccezioni, come The Newsroom scritta da Aaron Sorkin, mi annoia».
Samuel L. Jackson, 66 anni, alla sesta collaborazione con Tarantino, è cresciuto negli Stati del Sud durante la segregazione.
Dice l’attore: «Il cast del film è straordinario, Quentin ama scegliere uno a uno gli attori e questa volta al mio fianco ci sono Tim Roth, Bruce Dern, seduto su una poltrona che ha lo schienale insanguinato e molti altri. Il mio Major Marquis Warren è un ex schiavo, veterano dell’Union Army, sulla diligenza dove viaggia in un paesaggio innevato nelle prime sequenze fa salire Kurt Russell e Jennifer Jason Leigh. Poi si fermano in una locanda dove la guerra civile sembra non essere finita e qualcuno usa ancora la parola “negro” impugnando Colt 45».
Come in tutti i film di Tarantino, ogni particolare dei costumi, degli scenari, persino degli oggetti che le donne usano nella cucina per preparare il maledetto caffè, è stato scelto con estrema cura.
Serio e scherzoso, come sua abitudine, il regista afferma: «A me interessa non insegnare, ma firmare film che possono invogliare qualche giovane appassionato di cinema a diventare regista. Questa è l’influenza che mi interessa, non vincere un Oscar, anche se sono fierissimo di quelli che ho a casa come sceneggiatore e autore. Samuel L. Jackson è una magnifica persona e un grande attore. C’è molta sintonia tra noi anche se lui gioca a golf e io no. E mi piace andare a vedere piccoli film che arrivano da Hong Kong».