Corriere della Sera, 6 dicembre 2015
Ritratto delle due signore Le Pen che oggi potrebbero cambiare la faccia alla Francia
Hanno lo stesso ambizioso modello – Giovanna d’Arco – e lo stesso nome: Marion (anche se la zia si fa chiamare Marine). Eppure non potrebbero essere più diverse. Le due signore Le Pen, che oggi faranno del Front National il primo partito di Francia e tra una settimana diventeranno presidenti delle due regioni agli antipodi, il Nord atlantico di Lilla e Calais e il Sud mediterraneo di Marsiglia e Nizza, hanno storie e idee molto distanti. Questa ambiguità contribuisce alla crescita straordinaria dell’estrema destra. Ma è anche il limite che renderà difficilissima, se non impossibile, la conquista dell’Eliseo e del Paese.
Marine è nata nel fatale 1968 ed è la terza figlia di Jean-Marie. Marion Maréchal-Le Pen, 26 anni giovedì prossimo, è figlia della secondogenita del fondatore, Yann. Il Front non è un partito. È un clan. Una famigliona dove spesso ci si detesta. Il patriarca del resto l’ha teorizzato: «Il potere e la grandezza nascono dalla lotta. Gli europei si sono combattuti per decine di secoli, e hanno costruito una civiltà che ha dominato il mondo intero. Ora hanno fatto la pace, sono divenuti imbelli, e non contano più niente». I Le Pen sono per la guerra. Purtroppo per lui, Jean-Marie l’ha persa, ed è stato espulso. Comandano le donne.
Marion è cattolica. Marine è laica, ha divorziato due volte (ora sta con l’ex segretario del partito, Louis Aliot), difende l’aborto. Marion è vandeana. Marine è rivoluzionaria. Marion ha manifestato contro i matrimoni omosessuali. Marine ha portato al vertice del partito omosessuali dichiarati e non. Marion è conservatrice, ai limiti della reazione. Marine è movimentista, ai limiti della confusione.
Non a caso Marion stasera sarà in testa con circa il 40% nella regione Paca, Provenza-Alpi-Costa azzurra, culla dell’immigrazione maghrebina, da anni feudo della destra per quanto divisa; mentre Marine viaggia su percentuali analoghe nel Nord-Pas de Calais (cui è stata aggregata la Piccardia), terra un tempo rossa di miniere e di industrie, ora desertificata e disperata.
Marine Le Pen rifiuta di definirsi un’estremista. Per lei la divisione non passa più tra la destra e la sinistra, ma tra il sopra e il sotto della società, tra le élites e il popolo, tra gli enarchi fautori del libero mercato, dell’Europa unita e della società multietnica e la Francia profonda, «Paese di razza bianca», sorvolata e spaventata dalla mondializzazione, dagli emigrati, ora dal terrorismo. Non a caso il Front è al 45% tra gli operai e nelle banlieues popolari; mentre nel centro di Parigi non arriva al 20.
Accusare Marine e Marion di fascismo, come da sempre tende a fare la sinistra francese, non è solo un errore tattico; è un errore storico. Il Front National non è figlio della Francia filonazista e clericale di Vichy. Jean-Marie Le Pen tentava – a 16 anni – di arruolarsi nelle file della Resistenza quando Mitterrand riceveva dalle mani del maresciallo Pétain la francisque, massima onorificenza del regime.
Il Front National è figlio dell’Algeria francese e dell’Oas, l’Organisation de l’Armée Secrète che tentò di assassinare De Gaulle. È figlio delle sconfitte in Indocina (dove Jean-Marie combatté tra i paracadutisti), del crollo dell’impero coloniale, della frustrazione nazionalista; e i suoi nemici mortali non sono i socialisti ma i gollisti in tutte le loro declinazioni.
Per questo al ballottaggio delle presidenziali 2017 Marine spera di trovare Hollande, contro cui avrebbe qualche chance, anziché Sarkozy o peggio ancora Juppé, il delfino di Chirac, da cui sarebbe agevolmente battuta. Dietro il suo successo di oggi non c’è soltanto la richiesta di una stretta sull’immigrazione e di una lotta senza quartiere ai terroristi, per i quali Marine invoca il ritorno della ghigliottina. C’è l’angoscia di una nazione abituata all’egemonia, che ora sente di non contare molto più di nulla. E c’è la frustrazione di scoprirsi impotente, dopo i discorsi di Hollande che Marion ha definiti «tonitruanti»: «Il presidente parla di guerra e non ha la forza di farla davvero».
A dispetto della sua trasversalità, Marine rimane un personaggio anti-sistema. Se dopo Lilla conquistasse anche Parigi, sarebbe la fine dell’Europa. Il suo programma le impone di strappare non solo il trattato di Schengen, che un po’ tutti i francesi considerano superato, ma anche il trattato di Maastricht, che nel ’92 fu approvato da una maggioranza striminzita. Marine vuole restituire ai compatrioti 200 euro al mese di stipendio, e soprattutto la sovranità. L’indipendenza da Berlino e da Bruxelles. Una gigantesca retromarcia. Il ritiro della Francia dalla storia. Marine non è una persona sgradevole. Come non lo è il padre: odiose sono le sue idee, a cominciare dall’antisemitismo rinnegato dalla figlia; ma in un Paese di politici sussiegosi, dove il presidente socialista chiama i poveri «gli sdentati», i Le Pen sono gente alla mano. Il capo famiglia, il nonno di Marine, era un pescatore che nel 1942 affondò su una mina al largo della natia Bretagna. Lei fuma, beve, ha un tratto un po’ virile, pacche sulle spalle, cori a squarciagola. Ha la grinta del padre e l’imprevedibilità della madre, Pierrette, che dopo la separazione per vendetta posò nuda su Playboy (anche Marion ha avuto le sue vicissitudini: cresciuta da Samuel Maréchal, imprenditore e dirigente del Front, è stata riconosciuta solo dopo anni dal padre biologico, Raul Rauque, giornalista e diplomatico). Ma tra Marine e l’Eliseo ci sono due ostacoli. Oggi voterà a malapena la metà dei francesi; per la scelta del presidente la partecipazione è molto più alta, e questo annacqua le militanze e le radicalità. E mentre al secondo turno delle regionali possono partecipare tre o più candidati, e quindi il 40% basta per vincere, al ballottaggio per il capo dello Stato si arriva in due. Pur nel momento del trionfo di Marine, la maggioranza non crede che possa diventare presidente. Anche se, da quando il terrore le ha dichiarato guerra, la Francia cammina su un sentiero inesplorato. E per la fine dell’Europa non tifano solo i nazionalisti francesi.