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 2015  dicembre 05 Sabato calendario

Te lo ricordi Ernesto Pellegrini? Intervista sul calcio e non solo


Presidente, tra pochi giorni compie 75 anni e la sua azienda ne festeggia 50: voltandosi indietro che cosa la inorgoglisce di più?
«Come imprenditore, avere creato un’azienda che dà lavoro a 8 mila persone, in Italia e in quattro Paesi dell’Africa. Ci ho messo impegno, passione e tenacia, con la giusta dose di rischio».
Mentre si prepara a vivere ore di celebrazioni, i giovani scoprono la parola «guerra»: che cosa prova lei, nato durante l’ultima Guerra Mondiale?
«Sono cresciuto in campagna e nella grande cascina non posso dire che gli ortolani si amassero, per piccoli sentimenti di invidia. Però, quando uno di loro aveva un problema tutti correvano ad aiutarlo. Ecco ciò che manca di più oggi: la solidarietà. Per questo provo tanta amarezza, anche se ho fiducia nei giovani che vogliono creare un mondo migliore».
Nella sua autobiografia che uscirà in gennaio ha scritto: «La fortuna si cerca, bisogna stanarla». Si ritiene più bravo o fortunato?
«Ho incominciato a fare l’imprenditore con 150 mila lire regalatemi dal direttore generale della Bianchi, azienda in cui ero già capo-contabile a 24 anni. Poi nessuno mi ha più regalato niente. Tutto quello che ho, me lo sono guadagnato lavorando duramente e con onestà, il valore più importante».
Per questo ha aperto un ristorante per i poveri chiamato «Ruben» come quel vecchio amico morto assiderato?
«È stato un modo per ringraziare il buon Dio per tutto quello che ho avuto dalla vita e per ricordare Ruben, un contadino a cui ero legato perché aveva lavorato per tre generazioni della mia famiglia. Nel ristorante che porta il suo nome si servono ogni sera 350 pasti a persone in difficoltà che pagano un euro, per lasciare a loro la giusta dignità, mentre i bambini mangiano gratis».
Quando ha incominciato a seguire il calcio?
«A 14 anni, quando Redegalli, figlio del nostro maniscalco, esordì nell’Inter. Da allora, l’Inter è la mia squadra e non smetto di seguirla a San Siro».
Qual è stato il suo primo idolo?
«Skoglund, uno svedese dal dribbling fulminante che incontravo in piazza Mercanti. Sapevo che ogni lunedì andava lì a farsi lucidare le scarpe e così gli chiedevo l’autografo».
Che ricordi ha della sua prima volta a San Siro?
«Avevo 13 anni, era l’aprile del 1954 e si giocava Inter-Juventus che valeva per lo scudetto. Vinse l’Inter 6-0, ma non riuscii a vedere nemmeno un gol perché lo stadio era talmente affollato che non fu possibile entrare. Ricordo che pensai: sarebbe bello se un giorno potessi comprare l’Inter. Ma mentre lo pensavo, capivo di sognare».
Come è nata, poi, l’idea concreta di diventare presidente?
«Volevo farmi conoscere al grande pubblico e nel 1980 scrissi un’accorata lettera al presidente Fraizzoli, sottolineando che ero proprietario dell’albergo di Villar Perosa dove andavano in ritiro i giocatori della Juventus, ma il mio cuore era nerazzurro. Fraizzoli mi convocò, mi prese in simpatia e mi fece entrare nel consiglio. Poi diventai vicepresidente e nel 1984 presidente, coronando quel sogno da bambino».
Qual è stato il suo orgoglio più grande come presidente?
«Abbiamo vinto lo scudetto dei record nel 1989, due coppe Uefa e una Supercoppa, ma al di là delle vittorie il mio orgoglio è avere gestito la società senza aver mai fatto perdere una lira ai consiglieri e ai piccoli azionisti, perché le perdite sono sempre state assorbite dalla mia azienda. Con un pizzico di vanità, infine, ricordo l’applauso dei giornalisti quando annunciai, in una improvvisata conferenza stampa, che avevo preso Bergkamp e Jonk dopo un blitz segreto ad Amsterdam».
C’è un giocatore al quale è rimasto più legato?
«Rummenigge, il primo grande acquisto, che purtroppo non potrà essere presente alla festa alla Scala perché influenzato».
C’è un errore che non rifarebbe?
«Più che un errore, ho il rammarico di non aver fatto entrare in società due ex giocatori che stimavo molto: Bertini e Boninsegna. Nel 1970, quando ero un giovane imprenditore e loro campioni già affermati, uscivamo a pranzo e volevano sempre pagare loro».
Che ricordi ha del suo collega-presidente Berlusconi?
«Mi piace ricordare un episodio del 1994, quando Berlusconi era presidente del Consiglio e io stavo attraversando il periodo più difficile della mia vita. Mi scrisse di suo pugno un messaggio di incoraggiamento e amicizia che conservo ancora e si concludeva con un clamoroso Forza Inter».
Tra i tanti messaggi di auguri che sta ricevendo quale le ha fatto più piacere?
«Posso dire che la telefonata che mi ha sorpreso è arrivata da Matteo Renzi. Mi ha fatto i complimenti per l’azienda e mi ha ricordato che non dovevo strappare Berti alla sua Fiorentina».
Tra le tante persone conosciute chi l’ha colpita di più?
«Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco. Mi hanno ricevuto in udienza privata, le loro parole mi hanno segnato nel profondo».
Che rapporti ha con Massimo Moratti?
«Con lui e la sua famiglia ho buoni rapporti di amicizia e collaborazione professionale. Ricordo con piacere il giorno in cui ho dedicato al papà Angelo il centro sportivo della Pinetina, allora di mia proprietà».
E con Eric Thohir?
«Molto buoni. È venuto a casa mia anche di recente e fin dal primo incontro ho provato stima e simpatia. È in gamba, tifo incondizionatamente per lui».
Le dispiace non vedere l’Inter con una proprietà italiana?
«Oggi no, ma prima che Thohir acquistasse l’Inter propendevo per una cordata italiana della quale avrei potuto far parte, perché non ho mai pensato di riprendere da solo l’Inter».
L’Inter può vincere lo scudetto?
«Il secondo tempo di Napoli ha dimostrato la forza della squadra e il carattere trasmesso da Mancini. Ora penso che possa lottare per lo scudetto».
Quale giocatore della sua Inter vorrebbe regalare a Mancini?
«Un leader come Matthaeus non sarebbe male, no?»
Se fosse ancora presidente, quale sarebbe il grande acquisto?
«Sogno Ronaldo. Se davvero ha qualche dubbio sulla permanenza a Madrid, andrei a parlargli. Chi si chiama Ronaldo è nel destino dell’Inter».
Lei quale regalo vorrebbe per i 75 anni?
«Guardo al futuro col solito ottimismo. Ed è bello pensare che mia figlia Valentina, destinata a succedermi in azienda, mi regalerà presto un nipote. Ovviamente interista».