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 2015  dicembre 05 Sabato calendario

Anatomia dell’Italia renziana (ad opera di De Rita)

Ci voleva il Censis per produrre la più esauriente “anatomia” dell’Italia di Renzi, a quasi due anni dalla nascita del governo guidato dall’ex sindaco di Firenze. Una analisi che parte da un assunto semplice e severo: in attesa di una ripresa continuamente annunciata sui mass media, l’Italia è guidata da un governo che – attraverso il consenso alla sua azione – vorrebbe innescare un risveglio collettivo che per ora manca. E manca anche per “colpa” dell’altro tipo di pulsione prodotta dall’attuale esecutivo, di segno opposto rispetto alla prima: un decisionismo incardinato su una «nomenclatura troppo accentrata»; che premia le «fedeltà» più che le competenze; che si fida del «puro comando», senza combinarlo con «una leadership culturale e sociale»; un decisionismo che tende a spegnere ogni conflitto, con effetti deprimenti sul corpo sociale. Nelle “Considerazioni generali” che compendiano il quarantanovesimo Rapporto del Censis, Giuseppe De Rita, oltre al consueto affresco sul mutare del costume e delle dinamiche economico-sociali, ha analizzano anche gli effetti prodotti dalle politiche del governo sul corpo sociale. Pur non essendo obiettivo esplicito del Rapporto, questa analisi finisce per rivelarsi la più matura fra quelle finora realizzate sul “renzismo”: curiosamente un’analisi sistemica finora mai tentata non solo dalle varie opposizioni in campo – Cinque Stelle, Lega, Forza Italia – ma neanche dagli intellettuali più avvertiti nell’analisi politico-sociale.
L’affresco del Censis parte dalla descrizione dell’Italia contemporanea, un Paese nel quale vincono la «pura cronaca», l’approccio di corto respiro, «il virus della disarticolazione dei pensieri» e del corpo sociale. Una disarticolazione, nella quale prosperano l’egoismo individuale e una solitudine «di cui si scorge traccia anche nell’ossessiva simbiosi dei giovani con il proprio telefono cellulare». Una Italia «con una «scarsa autopropulsione», inchiodata – e qui De Rita cita Filippo Turati, il profetico leader socialista – in «un limbo italico», fatto di «mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone». Severo è il giudizio sul governo: questa «sconnessione» sociale e un generale pessimismo collettivo sono contrastati «spesso emotivamente» da un «generoso impegno» nel «rilancio del primato della politica», da un «folto insieme di riforme».
Ma tutto questo sforzo, prodotto dal governo Renzi e finalizzato ad «innescare nella collettività una mobilitante tensione al cambiamento sociale», cade nel vuoto. Perché la spinta non si porta dietro «un progetto generale di sviluppo del Paese», perché non ha dentro di sé «una cultura progettuale» e non favorisce l’evoluzione di «potenziali soggetti guida del sistema». E d’altra parte mancano una «reazione chimica collettiva e quella osmosi tra politica e mondi vitali sociali che hanno caratterizzato i migliori periodi della nostra storia recente». Una osmosi indirettamente contrastata dal governo dell’uomo solo al comando, che spegne «la centralità del conflitto», che invece per il Censis è sempre stato fattore positivo, perché «lo sviluppo, essendo una serie di squilibri continuati, è naturaliter conflittuale». E paradossalmente tutto quello che, secondo il Censis, in Italia funziona, funziona al di fuori della politica. Se l’Italia «non precipita nell’abisso» è per l’effetto di una doppia risorsa. La prima è la forza del passato, «l’intima sicurezza di non avanzare alla cieca, ma avendo alla base il decoroso modello di sviluppo creato a partire dagli anni ‘70» e «la fedeltà continuata nel primato della diversità dei comportamenti dei pensieri e delle opinioni». Seconda risorsa, la capacità della società di «esprimere una certa dose di invenzione», una capacità che si sviluppa «nell’indifferenza del dibattito socio-politico» e nel disinteresse dei media, assorbiti nella pura cronaca. Principali «modelli vincenti»: la naturalezza dei giovani a trasferirsi all’estero o nel tentare le start up; «la naturalezza delle famiglie a mettere a reddito il proprio livello patrimoniale ad esempio con i bed and breakfast; il nuovo made in Italy; la silenziosa integrazione degli stranieri nella nostra quotidianità. In altre parole, il ponte sul futuro è determinato dal “resto” della società, quello che sfugge al potere della politica e all’influenza superficiale dei mass-media.