Corriere della Sera, 5 dicembre 2015
Come tenere insieme il puzzle della Siria
Il puzzle Siria si va facendo ogni giorno più indefinito. Qualunque soluzione non può prescindere da una visione chiara di quello che sarà il «dopo» dello Stato mediorientale. Potrebbe chiarirmi quali sono i punti di vista dei singoli governi sul presunto smembramento della Siria in Stati autonomi i cui confini rispondano alle realtà religiose della popolazione? Mi riferisco principalmente a Usa, Francia, Russia, Inghilterra, Germania e Turchia. Se fra questi Paesi non c’è uniformità di vedute su questo tema penso che sarà difficile arrivare a una conclusione che non partorisca una nuova Libia.
Roberto Bellia
paradosso44@yahoo.it
Caro Bellia,
Se esistono progetti per la creazione di una nuova Siria, dopo la fine della guerra civile, rimarranno gelosamente custoditi negli archivi dei ministeri degli Esteri. Nessuno, per il momento, ha interesse a fare proposte che darebbero per scontata la dissoluzione dello Stato siriano. Ma esistono precedenti di cui è meglio essere al corrente.
Durante l’Impero Ottomano, la Grande Siria comprendeva la Palestina, il Libano, ed era il più ricco campionario di fedi religiose e gruppi etnici del Medio Oriente. Prevalevano i musulmani, ma suddivisi fra sunniti, alauiti, sciiti di stampo iraniano e ismailiti. La maggioranza dei cristiani, soprattutto in Libano, era maronita, ma il quadro molto articolato della cristianità siriana comprendeva ortodossi, armeni, nestoriani e uniati, vale a dire fedeli di tutte le Chiese che avevano conservato uno stretto rapporto con il Vescovo di Roma.
La grande maggioranza della popolazione era araba, ma nella Grande Siria vivevano anche gruppi consistenti di curdi, armeni, turkmeni, circassi. Nel 1926, durante il mandato francese, uno scrittore inviato in Siria da un grande giornale di Parigi, Joseph Kessel, scoprì che i migliori soldati delle truppe coloniali francesi erano per l’appunto i circassi. Arrivati nella Siria ottomana dal Caucaso, dopo la conquista zarista della regione, avevano servito fedelmente il Sultano di Costantinopoli e servivano ora, con altrettanta fedeltà, la Francia repubblicana. Combattevano agli ordini di un ufficiale francese contro le bande di briganti che spadroneggiavano in alcune regioni. Ma erano particolarmente efficaci contro alauiti e drusi, i due gruppi che dettero all’amministrazione francese parecchio filo da torcere.
Quando la Francia prese possesso della Siria, all’inizio del mandato conferito dalla Società delle Nazioni, il Libano, grazie alla politica di Napoleone III nel Levante, godeva già di una larga autonomia. Nello stesso spirito il governo francese dette una certa autonomia anche alla province di Aleppo e Damasco, agli alauiti e ai drusi. Ma non poté impedire una grande insurrezione dei drusi nel 1925 che si protrasse sino al 1927, un lungo negoziato con la Turchia per Alessandretta, la costituzione della repubblica di Latakia nel 1930 e una insurrezione curda nel 1937.
La storia non si ripete mai allo stesso modo. Ma i diplomatici che dovranno ridisegnare la carta della Siria nei prossimi anni farebbero bene a ripassarne le lezioni.