Corriere della Sera, 5 dicembre 2015
La strage di San Bernardino è stato un atto di terrorismo, dice l’Fbi
La dichiarazione di fedeltà all’Isis e al suo leader, lo sceicco Al Baghdadi, messa da Tashfeen Malik su Facebook e poi cancellata alla vigilia della strage, ha fatto cadere ogni residuo dubbio: da ieri l’Fbi considera anche ufficialmente quella sul massacro di San Bernardino un’indagine per terrorismo. Mentre un’America spaventata e disorientata scopre che i vicini di casa dei coniugi assassini avrebbero potuto denunciare il gran movimento di pacchi sospetti alla vigilia dell’attacco, ma non l’hanno fatto per il timore di essere accusati di avere pregiudizi razzisti, ci si chiede quali saranno le conseguenze di questo evento spaventoso sui rapporti tra i musulmani d’America e il resto della società Usa.
«Insospettabili»
Isis sbarcata in America? Per ora la sensazione è che l’attacco sia stato ispirato ma non materialmente diretto dallo Stato islamico: «Non abbiamo prove che i due killer siano parte di una cellula o di un network» ha detto ieri il direttore dell’Fbi, James Comey. Nel rivendicare l’attentato il califfato si limita a dire che è stato eseguito «da due nostri sostenitori».
Intanto diventa sempre più chiara la dinamica degli eventi e il profilo di una famiglia islamica pressoché «insospettabile» con l’attentatore, Syed Farook, probabilmente spinto sulla strada della radicalizzazione jihadista proprio dalla moglie Tashfeen: una pachistana che viveva in Arabia Saudita, da lui conosciuta su Internet. Adesso si passano al setaccio i viaggi dell’ispettore sanitario diventato killer dei suoi stessi colleghi di lavoro: quello nel 2013 in Arabia Saudita per il pellegrinaggio alla Mecca e per conoscere la futura moglie; un altro nel 2014, sempre in Arabia, per il matrimonio; infine, un anno fa, una terza missione in Pakistan.
Farook, nato negli Stati Uniti, non era in alcuna lista di sospetti, anche se aveva avuto qualche contatto con individui considerati simpatizzanti dell’islamismo radicale. Non si trattava di rapporti sostanziali, si sono giustificati gli investigatori.
Il fratello eroe
Del resto la sua famiglia sembrava un modello d’integrazione nella società americana: la madre di Syed lavora alla Kaiser Permanente, la più grande assicurazione sanitaria della California. Il padre, un camionista, era un uomo violento e i coniugi avevano divorziato da tempo. La moglie farmacista. Il fratello dopo gli studi si era arruolato nella Navy. Era stato per anni nel Golfo, imbarcato sulla portaerei Enterprise: addirittura decorato per meriti antiterrorismo. Gli era stata conferita una medaglia per il contributo dato alla «war on terror».
Lo stesso Syed, del resto, sembrava l’incarnazione del sogno americano: figlio di una coppia di immigrati pachistani, si era laureato in California ed era diventato un funzionario pubblico con uno stipendio abbastanza elevato: 70 mila dollari l’anno. Un musulmano integrato nella società Usa che sembrava condividere i valori dell’Occidente e con un hobby americanissimo: riparare auto d’epoca.
In realtà, a parte il ruolo che può aver giocato la moglie nel radicalizzarlo, non tutto filava liscio per Syed sul posto di lavoro: diversi colleghi lo prendevano in giro per la barba o perché a volte indossava abiti tradizionali musulmani. Secondo le testimonianze rese, Farook aveva avuto anche discussioni e dispute a sfondo religioso con un suo collega ebreo ortodosso, Nicholas Thalasinos: una delle 14 persone uccise dalla coppia.
Oro sono più chiare le circostanze della fuga dei due terroristi e il modo in cui la polizia li ha intercettati dopo poche ore, fino al conflitto a fuoco in un viale a 5 chilometri di distanza dal luogo della strage, conclusosi col Suv nero crivellato di colpi e Syed e Tashfeen uccisi. Dopo il massacro i due, forse convinti di non essere stati riconosciuti o che gli agenti non avrebbero reagito con tanta prontezza, hanno provato a tornare alla loro casa di Redlands, a 10 chilometri da San Bernardino.
L’ultima fuga
Ma i poliziotti, subito accorsi all’Inland Center, avevano saputo dai superstiti dei sospetti su Farook e avevano già raggiunto la sua abitazione. Il Suv nero si è avvicinato, ha rallentato e poi, vedendo la polizia, è ripartito a tutta velocità: lì è cominciata la caccia che si è conclusa con la morte dei due e la scoperta di un arsenale di armi d’assalto e ordigni esplosivi nella casa di Redlands. Ieri riconsegnata dall’Fbi al proprietario che per un’ora l’ha aperta ai cronisti.