la Repubblica, 5 dicembre 2015
Quando Vinicio Marchioni si mette ai fornelli
Guai a nominare Masterchef o trasmissioni simili. «Non mi piace quel genere di programmi. Mi fanno venire l’ansia, c’è troppa violenza. Sul cibo io la penso esattamente al contrario. La cucina che piace a me è semplice, naturale, da gustare con serenità e tranquillità», dice al tavolo del suo ristorante, a Roma, davanti a un bicchiere di whisky, inizialmente imbacuccato in un giaccone scuro, cappellino blu di lana, jeans neri. A vederlo di persona si capisce perché il “Freddo”, il boss coi riccioli neri di Romanzo criminale- La serie, il duro dallo sguardo diritto, sempre presente a se stesso, debba molto a Vinicio Marchioni: l’aria timida, il parlare sommesso, più minuto di quello che ci si aspetta, ma con un suo fiuto speciale. Su Facebook lo hanno definito “il miglior attore della serie tv, senza se e senza ma”, miglior interprete per due volte al Roma Fiction Fest. A 40 anni sta scalando, passo dopo passo, il successo, alternando tv, teatro, cinema e, ora si scopre, anche cucina: bravo cuoco a casa, tre anni fa, col fratello Massimo, ha aperto un locale a Roma dove non cucina lui direttamente ma dove vige la sua filosofia sul cibo. «Quella dei fornelli è una passione che ho fin da ragazzino. Ho cominciato lavorando nelle cucine dei ristoranti di Roma. Era morto mio padre, in casa c’erano difficoltà. Così a 15 anni ho iniziato a fare di tutto: cameriere, sguattero, lavapiatti, aiuto cuoco».«Sono stato in pizzerie, ristoranti, trattorie, a Centocelle, Tivoli, a Fidene, Roma nord, dove sono nato e cresciuto... Dovunque mi permettesse di guadagnare qualcosa. Ho imparato a servire a tavola, a organizzare una cucina, a vedere come cucinano gli chef, ad orientarmi tra odori e sapori. Io? Sono bravo nei primi piatti: le zuppe, pasta e fagioli. Una volta facevo anche la pasta fatta in casa, ma adesso chi ha più tempo? Mi riesce bene il pesce, l’orata in crosta, perché il pesce meno lo tocchi meglio è».
La cucina che piace a Vinicio Marchioni è semplice: poco artefatta, genuina, domestica. «Io la connetto a un atto d’amore – dice – È un modo di occuparsi delle persone che ami. Cucinando prepari qualcosa che loro mangeranno, gusteranno, che a loro fa piacere. Sarà che sono cresciuto tra le nonne e mia mamma che si svegliavano la mattina presto per preparare un sugo e lo facevano cuocere per ore. Mi porto dentro queste atmosfere, gli odori, la farina, la pasta fatta in casa. Il cibo per me è convivialità, condivisione. Ho avuto la fortuna di avere un padre che amava cucinare e ha trasmesso a me a mio fratello questa passione. A casa finché c’è stato lui c’erano sempre cene, pranzi, amici che mangiavano con noi. E anche io, le grandi celebrità che ho frequentato, le ho frequentate a tavola: Luca Ronconi, Massimo De Francovich, Carlo Lizzani... Anzi sono proprio convinto che noi attori avremmo bisogno di stare insieme, parlarci, avere luoghi, occasioni in cui scambiarci idee. Amo i produttori che per parlarti di un film ti invitano a pranzo, perché a tavola si parla meglio e ci si conosce meglio, anziché stare dentro un ufficio». E in questo ricorda certi artisti degli anni Cinquanta, Fellini, Flaiano, Zavattini, Monicelli, Soldati, Risi che magari si detestavano ma passavano le notti a dissertare di cinema, vita, donne.La passione per la cucina ha sostenuto poi l’altra, più segreta: il teatro. Lavorare nelle cucine permetteva a Vinicio-ragazzo di portare a casa un po’ di soldi, di pagare la scuola e, più avanti, l’università più la scuola di recitazione. «Ho avuto sempre la fortuna di incontrare persone che mi hanno insegnato qualcosa. A scuola, un istituto tecnico, avevo un insegnante che leggeva Dante e si commuoveva. E alla fine mi sono appassionato anch’io. All’università, a Lettere, Luciano Mariti insegnante di Storia del teatro e Giovanni Spagnoletti con Storia del cinema mi hanno aperto un mondo. Al secondo anno m’era presa la curiosità di capire cosa voleva dire recitare. Mi sono cercato una scuola di recitazione convinto di fare un corso, così, tanto per provare. Trovai la Libera Accademia dello Spettacolo che all’epoca stava al rione Monti. Ricordo che entrai, era in un sottoscala, aveva anche un odo- re di muffa ma io mi sentii subito a casa». La scuola l’ha fatta tutta, l’insegnante Giuseppe Marini è stato il regista dei suoi primi spettacoli: in uno di questi, Kouros, dove recitava nudo per due ore mezzo un testo di Ludovica Ripa di Meana in endecasillabi, lo notò, forse per forza di cose, Michele Placido che lo segnalò per la serie tv di Romanzo criminale. Erano spettacoli autoprodotti anche con il lavoro di Vinicio nei ristoranti: «Facevo il doppio turno, sabato e domenica. Il lunedì ero sfinito. Ma il cameriere ho continuato a farlo a lungo, credo di aver smesso solo dopo la prima serie di Romanzo Criminale.Avevo già 33 anni. Perché? Perché ancora oggi considero fare l’attore il mestiere più bello del mondo ma il più precario». Ha smesso perché lo hanno chiamato per20 sigarette, il superpremiato film di Aureliano Amadei del 2010, Paul Haggis per Third Person, Castellitto per Venuto al mondo, e poi per Sulla strada di casa, Scialla, per il tv movie L’Oriana, e il Francesco di Liliana Cavani, a teatro registi come Ronconi, Antonio Latella, Arturo Cirillo. E così adesso nei ristoranti (che non sono il suo) ci va da cliente, «ma sono un rompipalle tremendo, perché so, per esempio riconosco l’odore di dado lontano un chilometro». “Bisogna avecce un sogno pe’ costruì ‘e cose, no?”, teorizzava il suo Freddo. E Vinicio sogna: è appena stato in Piemonte a girare la fiction Luisa Spagnoli dove è Annibale, il devoto marito della stilista, riprenderà la tournée di La gatta sul tetto che scotta, e dopo il primo corto da regista, La ri- partenza presentato la scorsa estate, il grande progetto è tornare dietro la macchina da presa con un vero film, Abracadabra, la storia di un’amicizia tra un bambino che si crede mago e una prostituta che si chiama Maga. E poi c’è la Casa, il “suo” ristorante nel centro di Roma, che dice già nel nome la sua idea: «Il ristorante è come la casa, un luogo dove ti senti accudito e protetto, dove puoi stare tranquillo dalle 7 alle 2 di notte senza nessuno che ti fa fretta per liberare il tuo tavolo». Qui ha unito le due vocazioni: la cucina con pochi piatti ma genuini, fatta in casa e l’amore per il cinema e il teatro nei libri e manifesti sparsi in tutto il locale, per esempio, e nei lunedì letterari che si è inventato. «Una volta la settimana facciamo delle letture pubbliche. Ci siamo specializzati nel dialetto romanesco. Ho scoperto un sacco di libri, primo fra tutti Li romani in Russia di Elia Marcelli, una sorta di diario di guerra, della seconda Guerra Mondiale, in endecasillabi e in dialetto. Un capolavoro. E sono venuti attori come Massimo Popolizio, Paola Minaccioni, Marco Foschi a leggerne brani proprio per il piacere di condividere. Tavola e amicizia sono una cosa sola. La cena ideale? Non mi prenda per matto. Io vado pazzo per una piatto di pasta fatta in casa condita con burro e parmigiano. Oppure vuoi mettere una tazza di brodo: gallina, sedano, carote e cipolle, lo sgrassi e poi che gli devi dire?».