l’Espresso, 4 dicembre 2015
Ritratto di Chiara Appendino, la candidata bocconiana di Grillo a Torino
Lei, chiara Appendino, trentunenne in politica da meno di un lustro, parla veloce dall’ultimo banco dell’ultima fila, quello dei guastafeste, e lo pungola, lo provoca, lo irrita, gioca a fargli saltare la mosca al naso ogni volta che può. Lui, Piero Fassino, ultimo segretario Ds ora sindaco di Torino che tra molte qualità non annovera la flemma, finisce per sbottare con frasi tipo: «Non abbiamo bisogno di una Giovanna d’Arco della pubblica moralità». Scena usuale, nella sabauda Sala Rossa del Consiglio comunale, promo di quella che sarà la campagna elettorale di primavera, con Fassino in cerca di un secondo mandato e Appendino candidata 5 Stelle scelta senza sondaggi on line da un’assemblea di attivisti al locale Anatra zoppa. Niente chiassate, questa è pur sempre la compassata patria di Cavour, e anche lei, Chiara, è lontana da stilemi grillini tipo l’urticante Roberta Lombardi ex-capogruppo a Montecitorio o Paola Taverna, l’Erinni di Palazzo Madama. Piuttosto, Chiara è una goccia impietosa, una lenta tortura sulla fronte del sindaco cui a maggio, nel dibattito sul bilancio, è scappata un’infelice divinazione: «Lei si segga su questa sedia e vediamo se sarà capace di fare quello che auspica: comunque decideranno gli elettori», le ha detto esasperato. Apriti cielo: sul Web è partito il tormentone sulla “seconda profezia di Fassino”, dopo che nel 2009 aveva dichiarato: «Grillo fondi un partito e vediamo quanti voti prende». Facendone, nelle speranze dei 5 Stelle, l’involontario queenmaker della giovane bocconiana.
Bocconiana, sì. A differenza del suo unico collega in Consiglio Vittorio Bertola (ingegnere che bene incarna l’anima nerd smanettona del movimento e male ha digerito il rifiuto di candidare anche lui in ticket con lei, prendendosela con «l’apparato appiattito su Appendino»), quello di Chiara è il mondo della buona borghesia imprenditoriale torinese. Il padre Domenico è stato per trent’anni dirigente ed è ora vicepresidente esecutivo di Prima Industrie, macchinari laser, presidente il Gianfranco Carbonato che guida Confindustria Piemonte: un pedigree rassicurante per quegli ambienti ed elettori che sulla decrescita felice non punterebbero un penny; lei stessa auspica per Torino «una nuova industrializzazione», mica solo turismo e loisir. In Bocconi sceglie Economia internazionale e management, laurea con lode, tesi di marketing sulle strategie di entrata nel mercato cinese, materiale di prima mano visto che suo padre era responsabile dello sviluppo internazionale e a lui si deve l’apertura di vari stabilimenti Prima Industrie in Cina. Intanto s’è maritata. In chiesa. Con Marco Lavatelli, tre anni più di lei, piccola azienda di famiglia di oggetti per la casa tra Torino e Borgaro: dove lei lavora dal 2010, «inventandomi pianificazione e controllo gestione nel passaggio generazionale». Da un contatto del marito esce lo stage di Chiara alla Juventus. E anche la tesi della Specialistica, nel 2008, “La gestione dei costi di una società di calcio: la valutazione del parco giocatori”. Sul versante personale, da annotare la passione per la montagna, il gioco del calcio in una piccola squadra milanese, la foto su Facebook mesi fa col pancione e la scritta “download 45%": Sara nascerà a gennaio.
Il 2010 è anche l’inizio della sua avventura politica, quando s’avvicina a un banchetto 5 Stelle al mercato di Porta Palazzo. L’anno dopo è già candidata alle Comunali, anche allora senza passare sotto le forche caudine del voto on line. «Spaesata all’inizio, mi sono rimboccata le maniche». Secchiona quanto basta e puntigliosa per mestiere, si mette a spulciare atti e liste: dalla questione degli affidamenti diretti di incarichi sotto i 20 mila euro da parte del Comune, che pur senza esiti giudiziari porta alle dimissioni del braccio destro dell’allora sindaco Chiamparino, fino alle dotazioni e ai contributi elargiti per la cultura e le associazioni, ora uno dei suoi cavalli di battaglia. Finisce nel mirino per i 23 mila euro di “permesso retribuito” che l’azienda del marito dove continua a lavorare incassa ogni anno dal Comune; ma rinuncia al gettone di presenza, 2 mila euro al mese lordi. Meno prodiga è, Appendino, sulle questioni nazionali e del movimento: «Sono focalizzata su Torino e la mia attività amministrativa». Beppe Grillo? «Una chiacchierata quando venne sul palco per le regionali, voleva sapere come sopravviviamo da soli nelle istituzioni. Sì, mi ha chiamato da candidata, per farmi gli auguri». Casaleggio & Co? «Un supporto per il lancio della raccolta fondi, ma il video è tutto nostro, e anche lo slogan, “L’alternativa è Chiara"». Su immigrazione e ius soli, tema che ha spaccato il movimento? «Ho votato con i parlamentari, non con Grillo».
Coerente, a leggere il volumetto “La città solidale, per una comunità urbana”, editore Luce di Massa, scritto con Paolo Giordana, studi di teologia, dirigente del Comune di Torino, nel tempo libero e senza paga suo portavoce. Ci trovi Keynes, Adriano Olivetti e il sogno di “Comunità” e molto Roberto Mancini, filosofo di “Obbedire solo alla felicità”. E poi il mondo «falsificato» dal Mercato, «l’Io compassionevole ed empatico», la sharing economy e il peer-to-peer, purché organizzati «da una adeguata piattaforma tecnologica». Altruismo, benecomunismo, tecnologia, un quadro di riferimento tutto sommato coeso. Piacerà ai sabaudi elettori sotto la Mole?