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 2015  dicembre 04 Venerdì calendario

In difesa di Draghi

«Draghi delude i mercati, dissensi nel board della Bce», «Draghi affonda Borse e bond, l’euro vola sul dollaro», «Wall Street travolta da Draghi: il Qe europeo non aumenta». Il tonfo dei listini azionari e soprattutto l’ondata di commenti negativi di operatori e analisti alle nuove azioni di politica monetaria annunciate dalla Bce non sembra lasciar spazio a dubbi ed equivoci: la Bce ha deluso le attese degli operatori di Borsa, il Board della banca centrale appare sempre più diviso e nervoso, le nuove misure di allentamento monetario sono troppo timide per contrastare la deflazione e sostenere la ripresa, la liquidità aggiuntiva messa sul piatto dei mercati con l’estensione del Qe al 2017 non soddisfa l’appetito speculativo degli investitori sul denaro a costo zero. Risultato: caduta a piombo di borse e bond, euro in volo sul dollaro.
Reazioni negative alle decisioni della Bce si sono già viste in altre occasioni e quella di ieri non sarà certamente l’ultima. Ma non c’è dubbio che dai commenti sia emerso qualcosa di più profondo: la delusione e la stizza per aver piazzato una scommessa sbagliata, frutto non solo di una visione distorta del proprio potere di condizionamento sulle scelte della Bce, ma anche di una erronea percezione di fragilità, timore, debolezza o sudditanza della stessa Banca centrale europea nei confronti di un mercato finanziario aggressivo e speculativo, sempre pronto ad aggredire i titoli di Stato italiani, spagnoli e portoghesi ai primi segni di debolezza delle manovre salva-euro. Che cosa sia accaduto realmente ieri nel board della Bce non è chiaro del tutto. Ma ciò che da ieri è chiaro al mercato è che combattere la Bce è come combattere la Fed: la sconfitta è sicura. La celebre frase «whatever it takes» pronunciata da Draghi nel luglio del 2012 a difesa dell’euro e dell’Europa, ha certamente entusiasmato i mercati e risollevato i prezzi di azioni e bond, ma alla luce di quanto accaduto ieri è stata anche male interpretata. Fare tutto il possibile, per una banca centrale, non significa regalare soldi all’infinito a banche e operatori per foraggiare la corsa delle azioni e dei bond, fare carry trade tra Asia, Usa ed Europa o investimenti speculativi ad alto rischio.
«Whatever it takes» significa fare tutto il possibile per contrastare la deflazione e la crisi economica in modo sostenibile, senza cioè provocare con l’eccesso di liquidità effetti collaterali rischiosissimi come la nascita e l’esplosione delle bolle speculative. È già da qualche tempo che molti economisti – a cominciare da Martin Feldstein – lanciano allarmi sui rischi alla stabilità finanziaria legati a un eccesso di liquidità e di accondiscendenza delle Banche centrali nei confronti dei mercati. Nessuno dubita che sia il QE della Federal Reserve che quello della Bce siano alla base della performance straordinaria messa a segno sia dai titoli di Stato italiani e periferici che dagli indici di Borsa di Wall Street e dell’Europa. Ma se il denaro si ferma in Borsa invece di arrivare all’economia, alle imprese e in generale ai veri obiettivi delle manovre di allentamento monetario, allora il problema va affrontato: i tassi a zero, da soli, aiutano i governi a contenere il costo del servizio sul debito, ma sono anche un propellente straordinario per la corsa degli investitori verso i rendimenti degli asset più speculativi. Il minor rischio su un fronte, insomma, alimenta l’azzardo sull’altro. Draghi e il board della Bce hanno certamente messo ieri sul piatto queste variabili, scegliendo la via più prudente: estensione al 2017 del Qe, nuova riduzione del tasso di remunerazione dei depositi delle banche, allargamento della tipologia di obbligazioni acquistabili. Chi è rimasto deluso è chi dava per scontato l’arrivo di un miliardo in più al mese di liquidità sui 60 già in agenda della Bce: basta questo per accusare Draghi di timidezza o per attaccare la Bce? Deludendo gli speculatori, Draghi ha finalmente tracciato una linea tra le pretese dei mercati e le ragioni della Bce. Se in America non c’è investitore che si azzardi a sfidare la Fed («You can’t fight the Fed»), in Europa si stava radicando la convinzione contraria. Ma d’ora in avanti, i signori di Wall Street e i maestri della speculazione faranno bene a tornare davanti ai computer e ad analizzare ricavi, profitti e bilanci prima di comprare o vendere azioni: il loro lavoro, negli ultimi anni, lo hanno fatto le banche centrali.