ItaliaOggi, 4 dicembre 2015
Alla Camera siedono meno laureati che nel dopoguerra
Rispondere al nuovo terrorismo con stanziamenti dello stesso ammontare per la sicurezza e per la cultura (un miliardo per una) sembra una misura plausibile e coerente con lo storytelling di Matteo Renzi. Il punto è però come, e a chi, vanno tali spese aggiuntive. Due recenti incontri hanno confermato le mie perplessità sul taglio populistico/dilettantesco della strumentazione di intervento adottata.
Un poliziotto iscritto al sindacato di polizia si lamentava con me e con altri commensali nei giorni scorsi a un convegno, per l’offesa alla dignità del ruolo degli agenti addetti ai servizi operativi insita nella «mancia» (così la definiva) degli 80 euro per essi disposta con l’intervento in questione. La logica delle relazioni di lavoro ritiene infatti, in tali casi, non che si attribuiscano mancerelle a pioggia come per i semi poveri ,ma precise indennità, distinte per funzioni, degli addetti ai servizi operativi.
Mi sono poi trovato in un’altra occasione a tavola con un ricco imprenditore e Cavaliere del lavoro, che adotta un buon sistema di welfare per i suoi dipendenti, che si chiedeva che senso avesse attribuire a suo figlio quasi diciottenne una «mancia» di 500 euro per il diciottesimo compleanno. Non sarebbe meglio premiare progetti selezionati per l’occupazione giovanile nel settore della cultura, o in ogni caso, attribuire l’incentivo solo ai giovani delle famiglie al di sotto di una certa fascia di reddito?
Il fatto è che siamo, senza che tanti se ne accorgano, in pieno populismo, e quello di Matteo Renzi è populismo riformista o, se vogliamo, riformismo populista. Ma l’altra faccia della versione italiana del populismo è il dilettantismo, il mancato ricorso alle competenze. Possibile che nessuno abbia spiegato o spieghi al presidente del Consiglio che 300 milioni per la cultura per i giovani si possono usare producendo effetti e ritorni molto migliori, grazie a strumenti diversi da quella della «mancia» da 500 euro? Il fatto è poi che per il dilettantismo e per la diffusa attitudine ossequiosa verso il premier, è molto difficile che il parlamento modifichi la scelta adottata, visto quel predominio dell’esecutivo sul legislativo in atto, i cui rischi sono ben documentati ed evidenziati nel recente bel libro di Stefano Semplici «Costituzione inclusiva, una sfida per la democrazia» (Rubbettino).
Questo ci rimanda a una questione più ampia: sembra ormai che ci sia un corto circuito tra le professionalità, le competenze, le culture di settore, la cultura e i luoghi dove si adottano le scelte politico-istituzionali. D’altronde, su un versante, Renzi aveva avviato l’attività di governo con una sorta di guerra agli «alti burocrati» (fra i quali ci sono però anche ottime competenze), e sul versante parlamentare c’è, fra gli altri, un dato sin qui poco conosciuto: la percentuale di laureati della Camera dei Deputati in questa legislatura è inferiore a quella della Costituente del 1946. E ciò nonostante la percentuale di laureati nel Paese sia oggi dodici volte più alta di quella che era la percentuale dei laureati nel 1946.
Se prosegue questa miscela di populismo e dilettantismo, riscontrabile anche nell’ulteriore peggioramento della qualità della legislazione, a farne le spese saremo sempre di più noi cittadini. Sarebbe pertanto il caso che anche i chierici - intellettuali e i tanti opinionisti in servizio permanente effettivo cominciassero ad accorgersene, perché il problema non è se essere a favore o contro Renzi (cui va dato il merito di avere almeno sbloccato il «riformismo immobile»), ma se avere una politica, una legislazione, un’amministrazione, un senso della cittadinanza degni del loro nome.