ItaliaOggi, 4 dicembre 2015
I social e le vite registrate degli utenti che un giorno potrebbero finire in piazza
«Sono convinto che se tutti gli utenti dei social conoscessero a fondo quanti pezzi della loro vita sono presenti, come informazioni, nei diversi archivi online insorgerebbero, e ce ne sono così tante Ma l’aspetto drammatico è anche un altro, cosa queste informazioni suggeriscono, non quando le si prende individualmente, ma nella loro interezza. Ad esempio, se io sapessi che cosa fai tu in diversi momenti della giornata, se sapessi cosa compri, quanti quattrini spendi, dove vai a mangiare, con chi parli, cosa scrivi nei tuoi messaggi, se conoscessi i tuoi dati sanitari, i tuoi investimenti, insomma se avessi tutti questi dati su di te, cosa potrebbe succedere? Temo cose orribili, certo mi auguro che mai avvengano, ma potrebbe succedere. Ma tu questa autorizzazione l’hai data. Allora, perché non facciamo una pausa, e ci chiediamo perché l’abbiamo fatto? Come ciò è potuto accadere? La privacy non è qualcosa che possa essere separato dal rispetto e dalla dignità umana».
Chi mi legge, e sa come la penso sulle aziende guidate dalle felpe californiane, potrebbe ritenere che questa intemerata sia farina del mio sacco, perché tutte quelle informazioni lor signori le hanno, le usano non sappiamo come, o meglio ben lo sappiamo ma non abbiamo le prove. Invece no, io non c’entro. La sottoscrivo in toto, ma è semplicemente una modesta traduzione delle parole pronunciate dal Ceo di Apple, Tim Cook, il manager numero uno al mondo.
È uomo di grande coraggio, si potrà dire che solo lui se lo può permettere, perché senza Apple tutte le altre californiane sarebbero dei moscerini, e tutti noi da lui dipendiamo. Belle e sane parole le sue, sappiamo che Apple, quelle sconcezze non le fa. Gliene siamo grati, così come europei perbene, se siamo ancora parzialmente liberi, dobbiamo ringraziare l’ex contractor Edward Snowden che ci ha aperto gli occhi sulle sconcezze della National Security Agency, e ringraziare il presidente Putin che gli ha concesso asilo politico (un mondo ove i valori si sono capovolti rispetto alla guerra fredda). E ringraziare pure lo studente austriaco Max Schrems che ha avuto il coraggio di denunciare Facebook Europe per fermare i trasferimenti dei suoi dati verso gli Usa.
In questo senso, mi fa scompisciare dal ridere la vanteria di Zuckerberg di lasciare alla neonata Max (sembra un maschio ma è una femmina) l’1% del patrimonio (appena 450 milioni di $) e dare in beneficienza il rimanente 99% (44,55 miliardi $). Sono particolarmente contento per Beppe Severgnini, così innamorato del mondo anglosassone (come lo sono stato io fino al 2008), l’ho sentito così entusiasta commentando la notizia sul Corriere, ha colto l’essenza: come il valore del dono sia pari al Pil della Slovenia. E come la ricchezza provochi nevrosi e schiavitù. In pratica, Beppe la ricchezza la sconsiglia. Quando si tratta di ricchezze create con queste modalità, mi associo pure io.
Certo, quella di Zuckerberg è una decisione privata, ma trovo curiosissimi queste personaggi felpati, prima compiono ogni tipo di sconcezza per creare patrimoni immensi e poi, al verificarsi di un evento in fondo banale, com’è la nascita di un figlio, o al limite la sconfitta dei LA Lakers, fingono di liberarsi del malloppo, riciclandolo e battezzandolo come bene comune: una voluntary disclosure in salsa irlandese. Buontemponi o buffoni?