il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2015
Erdogan che fino a qualche anno fa andava in vacanza con Assad. Un ritratto del sultano
“Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati. Nessuno può discriminarci e intimidirci”. Era il 1997 quando Recep Tayyip Erdogan, sindaco di Istanbul da tre anni, durante un comizio a Siirt, incitò la folla declamando questi versi del poeta nazionalista islamico Ziya Gokalp. Un anno e mezzo dopo, a mandato scaduto, Erdogan fu scortato in prigione per oltraggio alla laicità della Turchia kemalista. Anziché scontare i dieci mesi di detenzione, rimase nella sua cella di lusso solo quattro mesi. L’attuale presidente turco allora aveva 46 anni, ma era attivo in politica da quando, ancora ventenne, sperava di diventare una star del calcio turco, convocato dal Galatasaray. Una carriera avversata dal padre, guardia costiera dalle umili origini e fedele molto devoto.
La carriera (faticosa) di un musulmano
Nato in un quartiere popolare del centro di Istanbul nel 1954, il “sultano” trascorse l’infanzia a Rize sul mar Nero, dove il padre era stato trasferito. Tornato a Istanbul, entrò in una scuola religiosa. Studiare in un istituto islamico significava non poter accedere all’università. I militari a guardia della laicità del paese avevano stabilito questa regola che, anni dopo, Erdogan riuscì a eludere, laureandosi in amministrazione in un’università minore. Mentre lavorava come impiegato nella società dei trasporti pubblici di Istanbul, non ancora trentenne, divenne responsabile della Federazione giovanile del Partito della salvezza nazionale fondato da Erbakan, emanazione della Fratellanza musulmana. Un islamista non poteva sperare di fare carriera se non fosse entrato in una confraternita religiosa. Erdogan scelse Naqshbandiyya in cui oltre a Erbakan, militava il potente teologo Fethullah Gülen.
Fu proprio il religioso, che subito dopo fondò Hizmet, altra confraternita tuttora cruciale, a fare da mentore a Erdogan, aiutandolo a creare un nuovo partito islamico moderato conservatore. Sdoganando così l’Islam politico nella repubblica laica fondata da Atatürk. Grazie anche alla rete di affiliati di Hizmet – estesa a Parlamento, governo, magistratura, forze dell’ordine, scuola, stampa, burocrazia – il partito della Giustizia e Sviluppo, Akp, ottenne immediatamente un clamoroso successo.
Cemento, business e le mani sui media
Nel 2002, mentre Gülen si trasferiva negli Stati Uniti per evitare l’arresto da parte dei militari, l’Akp vinceva le elezioni con il 34,3 per cento dei voti, con la maggioranza relativa. Erdogan è diventato premier nel 2003 e lo è rimasto fino al 2014 grazie a un impasto di religione e capitalismo. Estese il consenso dell’Akp con l’abbattimento dell’inflazione e in pochi anni fece entrare la Turchia nel club delle “tigri asiatiche”. Nel frattempo aveva già avuto da Emine quattro figli. La trentenne Summeye, una delle due ragazze, laureata come gli altri negli Stati Uniti, sta seguendo le orme paterne nonostante l’attuale presidente abbia più volte sottolineato che le donne non dovrebbero lavorare bensì dedicarsi solo alla famiglia e avere almeno tre figli. Per far crescere il Paese Erdogan promosse gli investimenti stranieri, grazie anche al sostegno statunitense, e il settore edilizio. A Istanbul la cementificazione inghiottì le aree verdi.
I nuovi palazzinari, provenienti dall’ambiente islamico, mostrarono la loro gratitudine per gli appalti ottenuti garantendo all’Akp i propri voti e quelli dei dipendenti. Arricchendosi, furono in grado di acquistare giornali e canali televisivi. La stampa indipendente nel frattempo è diventata uno dei bersagli preferiti del “sultano”. Numerosi giornalisti sono stati costretti a dimettersi, molti sono finiti in carcere dopo le denunce alla magistratura da parte dello stesso Erdogan. Il mese scorso sono stati incarcerati il direttore e un corrispondente di Cumhurryet. Can Dundar e il suo collega rischiano l’ergastolo per aver pubblicato un’inchiesta sul trasferimento di armi in Siria ai jihadisti, incluso l’Isis, da parte dei servizi segreti turchi. “Pagheranno per questo”, aveva tuonano in tv Erdogan, dal 2014 presidente della Repubblica.
Il testacoda del rapporto con la Siria
Prima di diventare l’arcinemico del presidente siriano, Erdogan e la moglie passavano le loro vacanze con i coniugi Assad. Fino all’esplosione, nel 2011, della rivolta siriana, l’allora premier aveva impostato la politica estera turca sulla linea “nessun problema con i paesi vicini”. Poi ha capito di poter scoprire anche il suo secondo volto: quello del leader islamico intenzionato a conquistare la leadership del mondo sunnita, sostenendo la Fratellanza musulmana nell’area e combattendo l’alawita Assad alleato degli sciiti iraniani. Per riuscirci ha sacrificato i rapporti con l’Egitto e Israele, aprendo però il dialogo interno con i curdi del Pkk. Negoziato che lo stesso Erdogan ha fatto fallire nel luglio scorso come ritorsione per l’ingresso in parlamento il 7 giugno scorso del filo curdo partito democratico dei popoli, Hdp. Impedendo che il suo partito formasse una coalizione di governo, ha indetto elezioni anticipate il 1 novembre scorso, in cui l’Akp ha riottenuto la maggioranza assoluta. Le stragi di Suruc e Ankara hanno convinto metà degli aventi diritto a rivotare per il partito dell’uomo forte.
L’ambizione su tutta la Regione
Da primo ministro, Erdogan divenne amico di Berlusconi – testimone di nozze di uno dei suoi figli – poco preoccupato della deriva autoritaria di Istanbul, conclamata nel 2013 quando venne repressa nel sangue la rivolta di Gezi Park. Pochi mesi dopo scattò la “Tangentopoli del Bosforo”, una inchiesta per corruzione che portò in carcere i rampolli dei tre ministri più vicini al sultano e coinvolse anche il suo stesso figlio, Bilal. Allo scandalo Erdogan reagì accusando l’ex mentore Gülen di progettare un colpo di stato usando i membri della sua confraternita.
Per questo ne fece incarcerare centinaia. In seguito l’inchiesta è stata chiusa “per mancanza di prove” e i magistrati che avevano aperto il fascicolo contro i potenti rampolli sono fuggiti all’estero dopo aver saputo che stavano per essere arrestati. Hizmet è stata messa nella lista delle organizzazioni terroristiche con il Pkk. Eletto presidente nell’agosto 2014, Erdogan vuole trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale per avere nelle sue mani anche il potere esecutivo e diventare finalmente “Sultano assoluto”.