Libero, 4 dicembre 2015
L’ambasciatore Bosio, colpevole d’innocenza
L’ambasciatore Daniele Bosio si era speso a favore dei bambini per una vita, e, un paio d’anni fa, di passaggio nelle Filippine, ne incrociò tre che chiedevano l’elemosina. Parlò con loro, vide che erano feriti e drogati di «colla», li portò in farmacia, poi da McDonald, comprò vestiti e scarpe, chiese loro se avevano un desiderio e loro risposero che sognavano l’acquapark; allora raccomandò che avvertissero i genitori e rivide i bambini l’indomani, ma erano impresentabili, avevano dormito in strada, puzzavano di colla; allora li portò a casa sua perché facessero una doccia, e loro una doccia non l’avevano mai usata in vita loro. Più tardi incontrò una sciroccata di una Ong, sospettosa per mestiere, la quale gli chiese se poteva seguirla a una stazione di polizia. Lui, pur essendo un diplomatico, accettò con l’ingenuità dell’innocente. Venti mesi di indagine e 52 giorni in una galera inimmaginabile per occidentali (80 uomini in 26 metri quadri, senza bagno) e poi in ospedale. Manca lo spazio per raccontare le insipienze della nostra diplomazia e il distacco della stampa, tutta presa (solo) dai marò e dalle smagliature della Boschi. L’hanno assolto dopo 20 mesi, e la sentenza spiega che Bosio è un benefattore. E se proprio dobbiamo trovare una morale, è una morale banale: la generosità desta sospetti, la bontà non convince, l’indifferenza è premiante, brancoliamo in un mondo in cui l’innocenza è colpevole.