la Repubblica, 4 dicembre 2015
Lo sfogo dell’ambasciatore italiano a Manila accusato di pedofilia e scagionato dopo 50 giorni di carcere e 20 mesi di processo
«Ho passato 50 giorni in una cella grande 26 metri quadrati con 80 criminali, senza nemmeno l’ora d’aria... Tanti in Italia hanno dubitato di me, credendo che fossi un pedofilo, invece sono stato scagionato, il tempo mi aiuterà a ricostruire i rapporti... Non rifarei quello che ho fatto, ma che ne sarà della mia reputazione adesso?».
Ecco l’inferno di Daniele Bosio, andata e ritorno. Dopo 50 giorni di prigione, 20 mesi di processo, durante il quale gli è stato vietato di lasciare le Filippine, il 19 novembre il diplomatico italiano, ex ambasciatore in Turkmenistan, è stato assolto dall’accusa di traffico di esseri umani, abuso e sfruttamento di minori. Il suo calvario giudiziario è iniziato il pomeriggio del 5 aprile 2014, quando due operatrici della Bahay Tuluyan Foundation, ong che si occupa di diritti sociali in un Paese ad altissimo tasso di prostituzione minorile, lo vedono entrare con tre minorenni (9, 12 e 13 anni) nel parco acquatico Splash Island a Binan (Laguna). Lo denunciano, la polizia lo arresta, quasi due anni dopo un giudice scrive: “Non colpevole per insufficienza di prove, perché i minori hanno negato le violenze”. Così Daniele Bosio, oggi, è di nuovo un uomo libero.
Cosa ha pensato quando si è ritrovato in carcere, con quella gravissima imputazione?
«Che era un’esperienza talmente incredibile da non sembrare vera. Nella cella con me c’erano mafiosi, violentatori, assassini, spacciatori, trafficanti di droga. Anche ragazzini sbattuti dentro solo perché si erano ritrovati per strada. C’era un ladro di macchine che quando è entrato pesava 200 chili ed è dimagrito fino a 50. Le condizioni erano disumane».
Lei è stato picchiato?
«No. Ma solo perché ero straniero e al “capo”’ della mia cella era stato detto che non mi dovevano fare del male. Dormivamo in panche a castello, uno sopra l’altro. Non c’era spazio per muoversi e mangiava decentemente solo chi si faceva cucinare qualcosa fuori dal carcere. Siccome avevamo poco da bere e i cibi erano troppo salati, mi sono venute le coliche renali e sono finito per altri 40 giorni in ospedale».
Poi le è stato concesso di uscire su cauzione. Cosa ha fatto nei successivi16 mesi?
«Prima ho chiesto alla Farnesina di poter lavorare all’ambasciata di Manila, anche gratis, ma hanno rifiutato. Mi sono allora offerto di dare una mano alla Camera di commercio, che era stata appena aperta: li ho aiutati a decollare e abbiamo organizzato diverse missioni imprenditoriali. Poi però hanno preferito non avermi più tra le scatole, perché dicevano che era rischioso per la loro reputazione. Ho fatto corsi online, dato ripetizioni di inglese, matematica e fisica in una scuola e grazie a un prete, padre Giovanni Gentilini, ho insegnato italiano alle signore che si occupano di adozioni a distanza».
Ma come ha fatto a finire in un guaio simile?
«Essere diplomatico mi ha danneggiato. Chi mi ha denunciato voleva farsi pubblicità: far condannare un ambasciatore italiano li avrebbe resi famosi. Sono riusciti a influenzare l’andamento del processo».
Come?
«Hanno provato a farmi arrestare una seconda volta, a marzo, accusandomi di oltraggio alla corte perché non mi ero presentato a un’udienza. L’ordine di custodia era già pronto, poi sono andato in tribunale e il giudice ha detto che l’arresto non era legale. Sostiene il mio avvocato che accade spesso che i magistrati filippini nemmeno conoscano bene le procedure».
Perché portò quei tre minorenni a casa sua, a fare la doccia? Non poteva fargli usare le docce dell’Acqua park?
«Li ho trovati per caso in strada che chiedevano l’elemosina, in condizioni pietose. Li ho fatti mangiare, li ho portati in farmacia perché avevano le mani infettate e poi ci è venuta l’idea di andare in piscina. Se le mamme che frequentano l’acqua park li avessero visti così sporchi, sarebbero impazzite (i bambini a verbale hanno ammesso di essere stati aiutati a lavarsi da Bosio perché non sapevano usare la doccia e di non essere stati molestati, ndr)».
Proprio niente da rimproverarsi?
«Sì, la leggerezza. Ho fatto quello che per me era solo un gesto di solidarietà, cioè l’elemosina a dei bambini, ma dall’esterno poteva essere mal interpretato. Sono stato sprovveduto, avrei dovuto coinvolgere altre persone».
Per mesi è stato considerato un mostro. Come l’ha cambiata quest’esperienza?
«Avevo una vita piena di prospettive, ora non ho quasi più niente. Prima ero molto impegnato in opere di volontariato rivolte ai minori, in modo spontaneo ed empatico. Adesso mi prendo una pausa di riflessione. Più avanti si vedrà...».
Ha 47 anni. Era un diplomatico in carriera. Ora cosa farà?
«Ieri sono stato reintegrato al ministero degli Esteri. Ora sono agli Affari politici, in attesa di essere riassegnato. Mi piacerebbe tornare a fare l’ambasciatore in Turkmenistan o in un altro Paese di prima linea».