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 2015  dicembre 04 Venerdì calendario

Nella cella numero 2 del Kgosi Mampuru, dove Oscar Pistorius passerà i prossimi 15 anni

Una finestrella da cui entra qualche timido raggio di sole, un lavandino di metallo al fianco di un letto singolo, un tavolino con la Bibbia e qualche ritaglio di giornale. Non c’è altro nella cella numero 2 del Kgosi Mampuru, il penitenziario di massima sicurezza di Pretoria, dove Oscar Pistorius è stato detenuto un anno per aver ucciso la notte di San Valentino del 2013 la sua fidanzata Reeva Steenkamp. 
Il 19 ottobre scorso, quando l’ha lasciata per continuare a scontare la sua pena ai domiciliari, l’ormai ex atleta sudafricano aveva sperato di non doverci rientrare mai più. Il sogno di una notte di una mezz’estate africana, durato appena 44 giorni, infranto dal verdetto della Corte Suprema d’Appello che ha ribaltato l’istanza di primo grado. Per il campione paralimpico la condanna passa da omicidio colposo a omicidio volontario. «Chi spara quattro colpi di pistola contro una persona qualunque in una toilette di 2x3 metri lo fa per uccidere», ha motivato nella nuova sentenza il giudice Erich Leach. 
Reazione «spropositata»
«Una drammatica vicenda umana dai toni shakespeariani» – l’ha definita il togato sudafricano che, in 53 minuti, il tempo impiegato per leggere il verdetto, ha mandato in frantumi l’intero impianto difensivo costruito da Pistorius e dai suoi avvocati. «Blade Runner», come era soprannominato ai tempi dei fasti olimpici, ha sempre sostenuto di aver sparato per proteggere Reeva e se stesso da un presunto ladro, salvo poi accorgersi che dietro la porta del bagno c’era la fidanzata e non un malvivente. In appello è stata punita l’intenzione, considerata «spropositata» data l’assenza di una minaccia diretta. 
«La disabilità di un soggetto non può motivare un gesto di tale violenza, se non per legittima difesa», ha sentenziato il giudice. Parole al vetriolo anche per la collega Thokozile Masipa, che, in primo grado, aveva condannato Pistorius a 5 anni per omicidio colposo. «Il principio del dolo eventuale è stato male interpretato e molte evidenze non sono state considerate», ha formulato Leach.
Al termine dell’udienza, in lacrime, il papà della modella uccisa ha detto: «È un grande sollievo, sono sicuro che Reeva dal cielo stia dicendo: giustizia è fatta». 
A fine gennaio toccherà proprio al giudice Masipa decidere l’entità della pena che dovrà scontare Pistorius. In Sudafrica sono previsti minimo 15 anni di reclusione per omicidio volontario, ma bisognerà tenere in considerazione l’anno già trascorso in cella e le attenuanti del caso, a cominciare dalla disabilità, quella che ha permesso al campione paralimpico di farsi conoscere al mondo. Quelle protesi a cui deve tutto, che gli hanno garantito e gli garantiranno una sopravvivenza più dignitosa nel carcere-inferno dove trascorrerà i prossimi anni della sua vita. 
A Kgosi Mampuru
All’interno del penitenziario sono presenti oltre 35mila detenuti, per lo più stupratori e serial killer. Ammassati in celle da 20/30 persone, con tassi di Hiv e tubercolosi elevatissimi. Un carcere storico al cui interno sono ancora vive le reminiscenze degli anni dell’apartheid. 
Durante la segregazione razziale circa 3mila sudafricani neri sono entrati, senza mai più uscire. Janusz Walus, estremista bianco killer del leader nero Chris Hani vi sta scontando l’ergastolo.
A Oscar Pistorius, uscito in tempo per festeggiare il suo ventinovesimo compleanno, non resta che sperare ancora una volta nella clemenza del giudice Masipa. 
In Sudafrica non esiste la Cassazione e l’ultimo estremo tentativo per appellare il verdetto di ieri sarebbe andare in Corte Costituzionale. In attesa di capire cosa vorranno fare i suoi legali, Pistorius, a inizio 2016, tornerà nella cella numero 2 del carcere di Pretoria.