La Stampa, 4 dicembre 2015
Sull’incapacità greca di gestire i profughi
Minacciata con una sospensione da Schengen paventata da molte capitali, e soprattutto da Berlino, la Grecia dichiara ufficialmente la resa e accetta di cedere il controllo della frontiera turca all’Europa. Il governo di Atene ha resistito parecchio. Poi ieri, tutto d’un colpo, ha accolto tre offerte dai partner di Bruxelles sul tavolo da giorni. Ha attivato il meccanismo di protezione civile, attraverso il quale l’Ue sostiene con uomini e risorse l’assistenza ai rifugiati. Ha accettato che Frontex invii i suoi agenti sulla frontiera macedone. E ha fatto scattare il piano Rabit, che catapulterà a stretto giro un bel numero di vigilanti sulle isole dell’Egeo. A seconda di come la si guarda, è una mano tesa o un commissariamento.
Fuori controllo
Potrebbe essere al fine una disputa che si trascinava da troppo, alimentata dalla frustrazione covata in diverse cancellerie a proposito del confine colabrodo del Dodecaneso.
In ogni modo, anche al vertice Ue di domenica, più leader europei avevano chiesto ad Alexis Tsipras di farsi aiutare a gestire una situazione difficile, visto che davanti alla penisola anatolica ci sono decine fra isole ed isolotti, molti dei quali a un tiro di fune dalla sponda turca. Il leader greco, per questioni di gestione del consenso interno e di ambizione di sovranità, aveva espresso consenso a parole e dissenso coi fatti.
La conseguenza è stata che martedì il Lussemburgo, presidente di turno Ue, ha distribuito una nota di 5 pagine per il Consiglio Interni di oggi in cui si faceva capire, con un giro di parole, che la Grecia poteva essere sospesa dal club della libera circolazione, ovvero da Schengen.
Le regole del Trattato
Il testo, fra «gli argomenti di discussione», invitava a ragionare su come «affrontare le serie mancanze nei controlli delle frontiere esterne», e suggeriva di valutare il ricorso all’art.26 del Codice Schengen, secondo cui i ministri possono «decidere di reintrodurre i controlli per tutti o in specifiche parti delle frontiere interne». Il legame con il mancato ricorso a Rabit faceva subito pensare ai greci.
Quasi un ricatto
Minaccia politica, dunque. Quasi un ricatto. Perché la sospensione di Schengen avrebbe comunque richiesto tempo e non sarebbe servita un gran che a fermare i flussi dei migranti, visto che la Grecia non ha una frontiera di terra con paesi Schengen. Penalizza tuttavia l’economia greca, il turismo in particolare. Atene ha capito e ha ceduto, così oggi i ministri cercheranno di cucire l’intervento in armonia. Obiettivo, difficile, quest’ultimo, visto che l’Ungheria vuole denunciare alla corte Ue il piano di redistribuzione dei profughi e la Svezia pensa di chiudere il ponte fra Malmö e Copenaghen. I migranti fanno paura. E meno l’Europa è unita, e più i problemi diventa difficili gestirli.