La Stampa, 4 dicembre 2015
La fortuna della famiglia Erdogan tra fondi neri e conti in Svizzera
Il presidente Erdogan non è nuovo a polemiche e accuse legate al suo stile di vita particolarmente dispendioso, e alle voci sulle enormi ricchezze - e su quelle ha puntato il dito Putin accusandolo di far affari grazie al petrolio dell’Isis - accumulate da quando ha avviato la sua scalata al potere negli Anni Novanta.
Il cerchio magico
Secondo i detrattori l’inizio della fortuna di Recep Tayyip Erdogan inizia nel 1994, quando è eletto sindaco di Istanbul. Per la megalopoli sul Bosforo inizia un periodo di cambiamento con la costruzione di nuove infrastrutture, soprattutto metropolitane e strade, che cambiano, e in meglio, la quotidianità della popolazione, ma hanno effetti anche sulle tasche e il potere del futuro primo ministro. Erdogan avrebbe iniziato a concedere appalti in cambio di ricompense finite su conti corrente all’estero. Durante lo scandalo WikiLeaks, nel 2010, ne spuntarono 8 in Svizzera, attivi già dal 2004. L’allora premier smentì, dicendo che quei soldi erano regali per il matrimonio del suo terzogenito Bilal e delle donazioni di un imprenditore turco che si era fatto carico delle spese per l’educazione del suoi figli. Il sistema di appalti lo avrebbe portato alla costituzione di un «cerchio magico» fatto da imprenditori e finanzieri che hanno approfittato delle opportunità offerte dalla crescita economica del Paese in cambio di favori all’allora premier e gran parte del suo partito islamico-moderato (Akp).
Il business del mattone
Due fra i settori in cui il «sistema Erdogan» si sarebbe espresso al meglio sono quello dell’edilizia e della sanità privata, esplosi negli anni in cui il Paese è stato gestito dall’Akp. La parola magica, che governa tutto il giro di affari, si chiama Toki, ossia la Direzione per l’Edilizia e la riqualificazione. Stando a stime ufficiali, dal 2003, un anno dopo la salita di Erdogan al potere, in Turchia sono state costruite oltre mezzo milione di case e 100 ospedali. Un giro di affari da miliardi, a rischio bolla economica, ma che ha garantito non solo il finanziamento delle campagne elettorali degli ultimi anni, ma anche le fortune personali del presidente e di molti altri.
Scatole cinesi
Il «sistema Erdogan», secondo i suoi più acerrimi nemici è un meccanismo complesso, formato da decine di prestanomi e società all’estero, difficile da dimostrare e da sgominare nonostante gli scandali come quello del 2013, passato alla storia come la «Tangentopoli turca». Il terzogenito del Presidente, Bilal, sembra avere ereditato dal papà lo stesso piglio per gli «affari» anche se forse non altrettanta furbizia. Nel dicembre di 2 anni fa la sua voce finì con quella dell’illustre genitore su Youtube, con Erdogan che gli chiedeva di far sparire fondi, facendosi aiutare da altri membri della famiglia. Non solo: c’è un esposto alla Procura di Bologna su Bilal, che si è trasferito nel capoluogo emiliano da un paio di mesi: l’ha presentato un imprenditore e oppositore politico di Erdogan. Nell’esposto si chiede di indagare su eventuali somme di denaro portate in Italia da Bilal in ordine ad un eventuale reato di riciclaggio.
Ma nonostante i guai, due anni dopo la «Tangentopoli turca», non solo il Presidente è ancora in sella, ma è riuscito anche a fare nominare il genero, Berat Albayrak, ministro dell’Energia.