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 2015  dicembre 04 Venerdì calendario

Il petrolio del Califfo spaventa l’Opec

«Quella dell’Opec a Vienna è in qualche modo una riunione storica perché sarà la prima ad avere a che fare con un nuovo Paese produttore, lo Stato Islamico. E sarà un convitato di pietra tanto fastidioso quanto incombente». Manouchehr Takin, iraniano, economista di Cambridge, è stato per trent’anni il braccio destro dello sceicco Yamani, l’uomo che da presidente dell’Opec inventò nel 1973 l’embargo petrolifero rendendo il greggio uno strumento di lotta politica.
Quanto produce oggi il sedicente Stato islamico?
«Non meno di 400mila barili al giorno, una quantità tutt’altro che trascurabile, corrispondente praticamente all’intero potenziale produttivo siriano e in misura minore a quello dell’Iraq dove peraltro sospettiamo che si stiano sfruttando giacimenti finora inespressi. Il greggio trova abbondanti mercati clandestini, non ultimo lo stesso regime di Assad. Una macchina diabolica che neanche i bombardamenti hanno finora fermato. Anzi, sembrano appena lambirla».
Ma il greggio dell’Is può influire sui prezzi?
«Per ora no, certo se l’Opec diminuirà la quota, oggi 31 milioni di barili, comincerà percentualmente ad avere qualche significato. Ma non sembra che l’Arabia Saudita intenda abbassare la produzione per rialzare i prezzi».
Perché? Solo per fare un dispetto all’odiato Iran, che sta per rientrare alla grande sul mercato e chiede disperatamente di adeguare i valori?

«Se è per questo lo chiedono tutti i membri “poveri” dell’Opec: Nigeria, Algeria, Libia, Venezuela. Ma i sauditi vogliono portare fino in fondo la missione di mettere fuori mercato i concorrenti, compreso lo shale americano, malgrado cominciano ad avere un bilancio in grave deficit».