la Repubblica, 4 dicembre 2015
Il giovedì di fuoco di Mario Draghi, a combattere con i falchi tedeschi e i tweet del Financial Times
«Negli ultimi giorni Jens Weidmann ha fatto di tutto per bloccare la decisione, ma alla fine Draghi l’ha spuntata». Uscendo dalla riunione della Banca centrale europea un governatore si lascia andare a uno sfogo. Il potente capo della Bundesbank si è presentato al quarantunesimo piano del Main Building della Bce spalleggiato dai falchi baltici. Tutti hanno votato contro il piano Draghi. Ma le colombe schierate con lui sono certe che dopo la prima bocciatura dei mercati il Qe2 approvato a Francoforte riuscirà a far lievitare l’inflazione e spingere la crescita dell’eurozona.Weidmann non l’ha mandata giù e in serata ha detto pubblicamente che la manovra «non era necessaria». Ma la vera battaglia non si è svolta ieri, bensì nei giorni scorsi. La Bundesbank voleva fermare il Qe2 e questa volta era favorita dal sorteggio. Perché al Consiglio dei governatori a rotazione alcuni banchieri centrali non votano e ieri ad essere esclusi erano il francese Christian Noyer – inizialmente perplesso dalla seconda manovra della Bce ma poi a favore per le ricadute degli attentati di Parigi sull’economia – e i colleghi di Austria e Slovacchia.Così Draghi la vera mediazione l’ha svolta nei giorni scorsi. Dopo il confronto dietro le quinte alla vigilia della riunione, spiega un banchiere centrale vicino al presidente, «Mario ha scelto la linea più morbida». Per questa ragione le decisioni della Bce sono state meno roboanti di quanto non attendessero i mercati dopo che l’ex governatore di Bankitalia a Malta in ottobre e a Francoforte il 20 novembre – si era molto esposto sui contenuti del secondo Qe. Nessuno scontro in riva al Meno dunque, ma un duro confronto a distanza durato settimane al termine del quale Draghi è uscito con una soluzione che non avrebbe spaccato il Consiglio in modo clamoroso per quanto osteggiata dai falchi che però grazie alla mossa tattica di Draghi non sono riusciti a ingrossare le loro file e sono rimasti in minoranza.I tassi sui depositi scendono “appena” dello 0,1%, si aspettava un taglio almeno dello 0,2%, l’acquisto di titoli di Stato viene sì esteso, ma “solo” di sei mesi e la sua potenza (60 miliardi al mese) non viene aumentata. Così si spiega il tonfo delle Borse e la risalita dello spread certificato anche da Janet Yellen, numero uno della Fed: «Sembra che il mercato si aspettasse certe azioni dalla Bce che non si sono materializzate».Un caos favorito anche da una clamorosa gaffe del Financial Times che a pochi minuti dall’annuncio ufficiale della Bce sui tassi ha pubblicato (sul sito e su Twitter) una anticipazione errata secondo la quale Francoforte sarebbe rimasta ferma. Dopo otto minuti sono arrivate le scuse del quotidiano della City, che ha spiegato di aver mandato in rete una delle bozze preparate per tenersi pronto di fronte a qualsiasi scelta dell’Eurotower. Ma il danno era fatto, in pochi attimi miliardi di euro sono passati di mano in base a una notizia errata, fatto che ha contribuito ad agitare i mercati e che all’interno della sala del Consiglio è stata accolta dai governatori con sconcerto.Eppure, nonostante il tonfo di ieri, a Francoforte e in molte banche centrali (Bankitalia compresa) sono certi a mente fredda i mercati capiranno la portata della decisione di Draghi che l’Fmi promuove: è in grado di «centrare l’obiettivo della stabilità dei prezzi».Ci vorrà qualche giorno, giurano a Francoforte spiegando che le previsioni sull’inflazione pubblicate ieri dalla Bce (1% nel 2016 e 1,6 nel 2017) non tengono conto della nuova manovra grazie alla quale arriverà intorno al 2% proprio a inizio 2017 quando il Qe rafforzato dovrebbe terminare. Oltretutto Draghi ha detto chiaramente che «se necessario» sarà prolungato. E una base per questa eventuale decisione l’ha gettata proprio ieri facendo approvare l’estensione degli acquisti anche ai bond degli enti locali: se il Qe dovesse ulteriormente allungarsi oltre marzo 2017 sul mercato mancherebbero i titoli di alcuni paesi, come la Germania, che verrebbero compensati l’acquisto di quelli regionali. L’estensione del piano dal prossimo settembre al marzo 2017 – giustificato con il fatto che il primo Qe ha funzionato ma con un ritmo inferiore alle aspettative – significa che la Bce comprerà 360 miliardi di bond in più rispetto al previsto, per un totale di 1500 miliardi. E qui c’è l’asso nella manica che secondo Francoforte farà svoltare in positivo i mercati appena si renderanno conto della sua portata: Draghi ha annunciato che «i titoli resteranno sul nostro bilancio dopo marzo 2017». Significa che i bond in scadenza dopo la fine del Qe non saranno incassati dalla Bce, ma rinnovati in modo da mantenere sul mercato l’enorme massa monetaria iniettata dall’Eurotower e allungare gli effetti benefici del Qe a tempo indeterminato. Questa la scommessa di Mario Draghi per rilanciare l’euro.