Corriere della Sera, 4 dicembre 2015
Draghi annuncia il nuovo piano di stimolo monetario della Bce. I mercati si aspettavano di più
In una delle riunioni più attese dell’anno, il consiglio dei Governatori della Banca centrale europea ieri ha rafforzato a un livello mai raggiunto lo stimolo monetario all’economia dell’Eurozona. Con l’obiettivo di spingere verso l’alto l’inflazione. I mercati avevano aspettative altissime e a caldo hanno reagito con delusione: soprattutto, l’euro, che prima degli annunci di Francoforte valeva meno di 1,06 dollari, si è rafforzato sopra gli 1,08.
In realtà, Mario Draghi ha annunciato cinque nuove misure di politica monetaria di non poco conto. La prima è l’abbassamento del tasso d’interesse sui depositi che le banche tengono presso la Bce. Era già negativo dello 0,20%, è stato portato a -0,30%: gli istituti saranno ulteriormente penalizzati a tenere fermo il denaro. Secondo, il programma di acquisto di titoli sui mercati è stato allungato dal settembre 2016 al marzo 2017. Terzo – qui sta la sorpresa – quando i titoli comprati nel programma arriveranno a scadenza, i proventi verranno reinvestiti: ciò permetterà di non fare diminuire il livello della liquidità immessa nel sistema. Quarto, la platea dei titoli acquistabili viene ampliata anche alle emissioni delle autorità regionali e locali. Infine, la Bce continuerà a fornire liquidità illimitata alle banche fino almeno al 2017.
Dall’America, la presidente Fed, Janet Yellen, ha commentato che probabilmente «il mercato si aspettava certe azioni dalla Bce che non si sono materializzate», ma ha comunque aggiunto che «il dollaro si è rafforzato molto nell’ultimo anni e mezzo».
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La reazione dei mercati, ieri, agli annunci delle decisioni prese dalla Banca centrale europea sono da tenere in considerazione per gli effetti che potrebbero avere, se rimarranno tali. Non ci si può però basare su quelle per capire la portata delle misure prese, in realtà consistenti: i mercati si muovono secondo logiche loro, non necessariamente allineate a quelle della Bce o dell’economia dell’Eurozona.
La non insignificante sorpresa tra gli annunci di Mario Draghi è la decisione di reinvestire i proventi dei titoli che la Bce sta comprando sui mercati (nel quadro del programma di acquisti Quantitative Easing) allorché questi andranno a scadenza, «fino a quando sarà necessario». Non è una misura che interessa a breve i mercati: inizierà nel marzo 2017, quando i primi titoli andranno a maturazione. Significa però che, in questo modo, la banca centrale frenerà la tendenza del suo bilancio a ridursi via via che i titoli comprati scadranno, e con ciò impedirà una riduzione dello stimolo monetario. La misura evita cioè che cali lo stock di ciò che ha comprato.
La scadenza media dei titoli in portafoglio alla Bce è di circa otto anni: dato che al marzo 2017 gli acquisti saranno stati di 1.500 miliardi, ogni anno da allora i reinvestimenti saranno di circa 200 miliardi l’anno. Che sarebbero aggiuntivi rispetto ai 60 miliardi di acquisti di titoli che ogni mese la banca effettua nell’operazione se il Quantitative Easing continuasse oltre il marzo 2017, cosa che Draghi non ha escluso. Il segnale della volontà di essere espansivi senza se e senza ma è chiaro. Draghi l’ha definita «una misura piuttosto importante».
L’allungamento del programma di acquisto titoli dal settembre 2016 fino ad almeno il marzo 2017 era atteso dagli osservatori. Aumenterà l’operazione di Quantitative Easing da circa 1.100 a 1.400-1.500 miliardi. L’abbassamento del tasso d’interesse sui depositi delle banche presso la Bce da meno 0,20 a meno 0,30% non è solo una spinta verso una maggiore velocità di circolazione del denaro (perché gli istituti di credito devono pagare per tenere il denaro fermo). È anche un cambiamento nello strumento principale con il quale la Bce stabilisce i tassi d’interesse: Draghi ieri non ha voluto dire se il meno 0,30% sia il limite inferiore raggiungibile, ma ha detto che ora il tasso sui depositi è il riferimento principale della Bce nello stabilire i tassi nell’Eurozona. L’allargamento della platea di titoli acquistabili anche a quelli emessi da enti regionali e locali, infine, allontana il rischio che la banca di Francoforte fatichi a trovare abbastanza bond da comprare sui mercati.
Le scelte di della Bce non sono state all’unanimità. «Non considero necessario un ulteriore alleggerimento della politica monetaria», ha detto il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Ma sono passate ad ampia maggioranza. Soprattutto, fondate su aspettative d’inflazione ancora troppo basse. La Bce prevede che l’aumento dei prezzi sarà dell’1% nel 2016 e dell’1,6% nel 2017, per entrambi gli anni dello 0,1% inferiori alle attese di tre mesi fa.
Ieri, sui mercati è prevalsa la delusione, vedremo se nei prossimi giorni rimarrà tale oppure se l’aggiustamento dei portafogli sarà finito. Una valutazione meno a caldo, però, conduce a due constatazioni. La prima è che la Bce di oggi è del tutto cambiata rispetto a pochi anni fa: non teme di inoltrarsi in territori nuovi e di prendere misure espansive anche quando i dati economici non sono catastrofici. In un’analisi pubblicata ieri sera, Oxford Economics ha notato che l’importante indice sull’attività economica Pmi (dei responsabili degli acquisti di beni e servizi) è vicino ai livelli ai quali in passato effettuava «aumenti dei tassi d’interesse, invece che tagli». Un’altra stagione, insomma. La seconda è che la Bce rimane con ancora parecchi strumenti per effettuare ulteriori stimoli, se la situazione lo richiederà. Ieri Draghi ha detto che la geopolitica e il terrorismo possono comportare rischi economici, ma di non sapere prevederli. Si tratta di essere pronti.
Vedremo nei prossimi giorni come i mercati leggeranno a freddo le decisioni prese ieri. Sarà importante soprattutto per stabilire il cambio tra euro e dollaro.