Corriere della Sera, 4 dicembre 2015
La religione usata per rimediare voti alle elezioni
Lei sostiene da sempre che lo Stato laico garantisce la libertà di tutte le religioni, ma non consente intromissioni e prevaricazioni di quella dominante sulle minoranze. Perché ora tace sulla questione del presepe, dei canti natalizi e delle messe nelle scuole italiane (e nelle università e nelle forze armate, rimaste fuori dalla polemica)? Gli italiani versano in stato confusionale e non percepiscono che i luoghi pubblici debbano essere riservati ai valori condivisi. La religione potrà essere un valore o un disvalore: però è una realtà, ma che divide i membri di una stessa società e unisce solo i suoi credenti. In democrazia si difendono i diritti delle minoranze, perché le maggioranze non ne hanno bisogno, e la libertà religiosa si garantisce nei luoghi di culto suoi propri: presepi e messe si fanno in chiesa. O, come scrive un lettore, si aprano i luoghi dello Stato alle celebrazioni di tutte le religioni. Gli abusi in favore del cattolicesimo, che ora urtano gli islamici, da sempre offendono protestanti, ebrei, laici e chiunque abbia il senso dello Stato, minoranze politicamente insignificanti in Italia. Non pensa che dovremmo evitare di dare qualche ragione a chi sta dalla parte del torto?
Felice Costabile
Università di Reggio Calabria
Caro Costabile,
Quando le minoranze religiose in Italia erano minuscole, ai genitori non sarebbe mai passato per la testa di chiedere al preside di una scuola l’allestimento di un presepe o uno spazio per l’insegnamento di canti religiosi. Oggi, mentre il Paese sta diventando multietnico e multi-religioso, qualche genitore scopre che la scuola deve difendere le nostre tradizioni e soprattutto le radici cristiane della nostra storia. Se fossi un sacerdote avrei l’impressione che la fede, in questo caso, venga usata per separare e dividere, per esaltare ciò che ci rende diversi da chi ha altre credenze; e non mi piacerebbe diventare complice di un atteggiamento fondamentalmente razzista. Se fossi preside di una scuola, obietterei che l’approvazione di qualsiasi iniziativa estranea alle finalità del programma scolastico mi trasformerebbe in impresario di avvenimenti extra-curricolari e mi costringerebbe a prendere in considerazione le richieste analoghe di altri gruppi religiosi. Se fossi (come sono) elettore, avrei l’impressione di essere usato da movimenti politici a cui la religione interessa soltanto quando serve a prendere qualche voto in più.
Colgo l’occasione, caro Costabile, per rispondere a lettori che ci hanno scritto a proposito delle manifestazioni organizzate da musulmani per deplorare gli attentati del 13 novembre a Parigi. Credo che i leader di una comunità religiosa, quando qualcuno uccide in nome della loro fede, abbiano il dovere morale di esprimersi. Ma dietro il pressante invito a manifestare, rivolto all’intera comunità arabo-musulmana, ho visto il concetto di responsabilità collettiva e quindi, in ultima analisi, un pregiudizio razziale.