Corriere della Sera, 4 dicembre 2015
Pietro Valsecchi, quello delle fiction, ha scritto un romanzo
C’era una volta, a New York. Hester Street, nel cuore di Little Italy: qui vive la famiglia Palermo, Luigi, Carmela e i quattro figli, Frank, Salvatore, Nina e Tony. Sono arrivati dalla Sicilia in cerca di una vita migliore, hanno trovato lavori con una paga da fame, la malavita che esige il pizzo, e i prepotenti capoquartiere che non perdonano. Frank, il maggiore, è onesto, vuol diventare avvocato e fa il lustrascarpe per pagarsi gli studi. Il fratello Sal, invece, vede i mafiosi che si arricchiscono spacciando whisky in tempo di proibizionismo e anche lui vuole quei soldi; è impaziente e sceglie la via della violenza, con in testa un grande progetto: diventare lui il capo dei capi di tutta Manhattan. Prima famiglia, Mondadori, è il romanzo di esordio di Pietro Valsecchi, il produttore di fortunate fiction tv (Ultimo, Squadra antimafia) e di film di clamoroso successo (Checco Zalone). Valsecchi, che dice di sé «sono un narratore, non sono uno scrittore», nei ringraziamenti finali confessa che l’idea era nata sette anni fa come progetto per una serie televisiva. All’epoca parlò a lungo con Nicholas Pileggi, lo sceneggiatore di Quei bravi ragazzi e Casinò, tutti e due diretti da Martin Scorsese. Risultato di quei colloqui, il progetto originale si è sviluppato fino a diventare un romanzo, questo romanzo.
Ambientazione d’epoca, negli anni in cui il cinema era ancora muto e un musicista accompagnava le proiezioni, proprio come fa Luigi Palermo quando finisce il lavoro nel cantiere. E il cinema affascina Tony, il figlio più piccolo, che sogna un giorno di farlo lui il cinema, a Hollywood, con gli attori, e intanto scrive le storie di Little Italy, della famiglia sua, dei mafiosi. Così il romanzo procede su piani alterni, in un montaggio incrociato tra le vicende dei Palermo di allora e il film che Tony, cresciuto, dirige dopo aver convinto il re dei produttori, Jack Warner, a finanziarlo.
Trapiantata in un Paese così diverso dalla terra di origine, la famiglia rischia di sgretolarsi. È la madre, Carmela, che la tiene unita, a ogni costo, anche se i due figli più grandi imboccano strade diverse e contrarie: Frank, quello che studiava per fare l’avvocato, si è arruolato nella polizia, Sal invece si è affiliato alla mafia. È lei che ricorda ai figli che sopra a tutto ci sono i legami di sangue perché per lei tutti i figli sono uguali, e non si arrende nemmeno quando tutto irrimediabilmente precipita.
In questa America che costa lacrime e sangue si ripete, sempre uguale e sempre diverso, il dramma dell’emigrazione, che travolge tutto e tutti. Come per i Parondi di Rocco e i suoi fratelli, come per gli Italianamerican di Scorsese, ci sono i riti da rispettare, come il pranzo tutti insieme con il ragù fatto da Carmela. Ma fuori, nelle strade violente di Little Italy, dove un tradimento si paga con la vita, i fratelli sono nemici, i poliziotti sono sul libro paga del capo-cosca, e l’italiano buono, perché fratello di un picciotto, non potrà far carriera. Sal, che tenta la scalata al potere mafioso, entra in conflitto con il vecchio boss Di Bella: sarà una guerra senza esclusione di colpi, e ogni morto ammazzato reclama una vendetta ancora più efferata. Come quando Sal e i suoi compari sequestrano, torturano con il fuoco e alla fine uccidono l’Orso, il killer bestiale che ha bruciato la casa dei Palermo con il povero Luigi dentro. Sal e gli altri non si fidano della legge, si fanno giustizia a modo loro, conoscono le regole dell’omertà e ogni uccisione deve servire d’avvertimento. Ma non basta il coraggio e l’essere più svelti e spavaldi: il destino, per qualcuno, non bussa più di una volta.
Montato con il ritmo di un film – il finale, con il matrimonio di Nina, Frank e Sal che quasi non si salutano, Carmela che finge di non vedere che la figlia non è felice, Frank che lascia la sala per andare al Distretto di polizia e Sal che si allontana con una ragazza verso un albergo della Bowery, è una sequenza grandiosa – Prima famiglia sembra costruito per diventare un film. Magari, sullo schermo piccolo o grande che sia, ripulito un po’ da certi lasciti di altri film, tipo C’era una volta in America di Sergio Leone, e puntando invece sul serrato conflitto tra bene e male, Frank e Sal, con il melodramma familiare a fare da coro alla disperata epopea degli emigranti. Certo, per la famiglia Palermo, che vive e sconta il poco bene e tutto il male di quella terra straniera, l’unica redenzione possibile sarà quella del cinema: toccherà a Tony, il ragazzo sognatore e malinconico, che il giorno vende i giornali agli angoli delle strade e la sera lavora nella cabina di proiezione di una sala cinematografica, toccherà a lui il compito di raccontare la storia di tutti loro. Di realizzare, dopo tanto dolore, il suo sogno americano.