Corriere della Sera, 4 dicembre 2015
La strage in California è stato un atto di terrorismo? L’Fbi indaga
L’Fbi scava nel passato di Syed Farouk e Tashfeen Malik, i coniugi che mercoledì hanno fatto strage nel centro sociale di San Bernardino, in California (14 morti e 21 feriti), prima di essere bloccati e uccisi dalla polizia durante la loro fuga. Gli agenti cercano indizi della loro militanza nell’islamismo radicale, setacciando i messaggi che hanno scambiato su Internet e «social network». C’è chi spera ancora che le motivazioni del massacro possano essere individuate nei conflitti di lavoro (Syed era da cinque anni un ispettore dell’agenzia di servizi sociali nella quale è avvenuta la sparatoria), ma la scoperta di armi pesanti e ordigni esplosivi sul Suv usato dai due per la fuga e, soprattutto, di un vero e proprio arsenale nella loro abitazione, rende quasi impossibile non usare la parola più temuta: terrorismo.
Per la prima volta la usa anche Barack Obama, sia pure solo come un’ipotesi. Il presidente non esclude nemmeno motivazioni miste: Syed che entra in conflitto con il suo ambiente di lavoro mentre vive una fase di radicalizzazione del suo islamismo. Ma il leader democratico, che appare cupo e parla a voce bassa, sembra più preoccupato che mai per un possibile deterioramento dei rapporti tra la comunità musulmana (l’1-2 per cento dei cittadini Usa) e il resto della società americana. Obama insiste sulla richiesta di interventi del Congresso per rendere meno agevole la diffusione di armi da guerra come quelle usate a San Bernardino, capaci di scaricare in pochi attimi raffiche di decine di colpi. Secondo gli inquirenti, i coniugi ne hanno sparati 70-80 contro i partecipanti al banchetto natalizio del centro sociale. «Non mi illudo di impedire simili episodi» ha aggiunto Obama, «ma li renderemmo più difficili: oggi è troppo facile procurarsi armi letali».
Rispetto alle stragi precedenti – conflitti a fuoco sono ormai quasi quotidiani in Usa – l’attacco in California spaventa in modo particolare per due motivi. Intanto perché, invece del consueto «lupo solitario», stavolta sulla scena si è presentato un secondo killer: Tashfeen, la moglie di Syed, una pachistana che viveva in Arabia Saudita, conosciuta su Internet (si è invece sgonfiata la pista di un terzo complice: l’uomo arrestato mentre fuggiva dalla scena della sparatoria tra i poliziotti e i due criminali era estraneo alla vicenda). Ad allarmare ancora di più è il fatto che i due coniugi, che vivevano apparentemente una vita tranquilla, erano riusciti ad accumulare nella loro casa un arsenale fatto non solo di numerose armi da guerra e migliaia di proiettili, ma anche di parecchi ordigni esplosivi, detonatori e telecomandi per far scoppiare bombe a distanza. Significa che i due progettavano altri attacchi, potenzialmente ancor più devastanti. Ed è anche la fine dell’illusione dei servizi di sicurezza di riuscire a controllare almeno la diffusione degli esplosivi.
Musulmani moderati divenuti radicali? Reclutati da gruppi jihadisti? È presto per dirlo, ma forse si tratta semplicemente dell’effetto indotto della propaganda sul web dello Stato islamico o di altri gruppi estremisti: ieri l’Isis non ha rivendicato l’attentato, ma ha elogiato il gesto dei due killer con una serie di tweet in arabo: «Leoni che ci rendono orgogliosi: l’America sta bruciando».
Nelle stragi c’è sempre il prima e il dopo. Ora l’Fbi afferma che Syed Farouk era in contatto con figure del terrorismo internazionale all’estero, rapporti accompagnati da una progressiva radicalizzazione dell’autore del massacro di San Bernardino. Ma fino a ieri l’ispettore sanitario era il classico vicino «taciturno, riservato». Un musulmano tranquillo, si definiva, interessato alla religione ma con «una famiglia moderna», appassionato di auto, testi sacri e al quale piaceva allenarsi al tiro a segno nel cortile dietro casa. Dettaglio, quest’ultimo, che diventa terribile quando si pensa alle 14 persone cadute sotto il suo fuoco. Sognava almeno quattro figli, ma l’unica avuta, di appena 6 mesi, l’ha lasciata alla madre poco prima di partire per la missione finale.
Come altri sparatori, Syed è rimasto sotto il radar della sicurezza. Nato in Illinois 27 anni fa, originario del Pakistan, si è poi trasferito con la famiglia in California. È cresciuto in un ambiente complicato, con padre e madre divisi da divorzio segnato da accuse di violenze. Quadro precario che non gli ha impedito di laurearsi e di trovare poi lavoro con la contea.
Per cinque anni ha verificato le condizioni igieniche in ristoranti e locali, stipendio di circa 70 mila dollari. Nessuno dei suoi colleghi ricorda tensioni particolari, stava sulle sue. Poi la decisione di trovare moglie usando il web, una ricerca che lo ha condotto fino in Arabia Saudita, per incontrare Tashfeeen, 26 anni, anche lei pachistana. I viaggi nel Golfo ed uno in Pakistan sono parte dell’indagine per capire se abbia incontrato qualcuno di sospetto. Interrogativo accompagnato da un altro: la compagna ha avuto un ruolo nel suo cambiamento?
La coppia, quando rientra negli Usa, è andata a vivere con la madre di lui, senza mai sollevare sospetti. O forse qualcuno li aveva ma non ha avuto il coraggio di segnalarli. Magari un abitante del quartiere che si è chiesto cosa combinasse Farouk con una serie di attrezzature e utensili. Poteva servire per il bricolage ma Syed aveva in mente altro. Qualcosa di sinistro. Gli agenti hanno scoperto nell’abitazione una dozzina di ordigni fai-da-te costituiti da sezioni di tubo e polvere nera, attivabili con radiocomando. Trappole che ricordano a quelle suggerite, con tanto di istruzioni e foto, da Inspire, la rivista online di al Qaeda. Famoso il capitolo dal titolo: «Costruisci la bomba nella cucina di tua madre». Oltre a questi gingilli, una montagna di armi e munizioni acquistate legalmente. Due fucili d’assalto copia degli Ar 15, due pistole, quasi 5 mila proiettili.
Non manca nulla. Ci sono la preparazione meticolosa, l’equipaggiamento con caricatori a volontà e corpetti tattici, la volontà di imitare i guerriglieri, l’addestramento a compiere una missione multipla, quindi la determinazione nell’andare incontro alla morte. Il profilo dell’assassino, che si porta dietro la compagna, preoccupa. Intanto perché è rarissimo il caso di una donna mass shooter. Poi c’è l’ipotesi che il terrorista si sia mosso lungo un binario composto da problemi (veri o presunti) con il prossimo e l’estremismo politico. Due ingredienti che si fondono trasformando gli individui in bombe umane, realtà dove il confine non è netto. È proprio l’Fbi a prendere in considerazione lo scenario parallelo. Syed, il ragazzo che inseguiva il «sogno americano», è diventato un incubo.
L’eccidio segue fatti lontani e vicini. Nel 2009 il maggiore Nidal Hassan uccide 19 soldati a Fort Hood: ha guai mentali ma la spinta gli arriva dalle prediche dell’imam yemenita al Awlaki. Figura che, anche da morto, ispira Mohamed Abdulazeez, che con un Kalashnikov falcia 5 marines a Chattanooga, Tennessee, il 16 luglio di quest’anno. Tipo anonimo e con passato inquieto. Poi l’attacco a Gardland, Texas, il 3 maggio: i due terroristi con gli AK sono neutralizzati dal tiro delle guardie. E un paio di settimane fa Parigi. Azioni non firmate insieme a quelle rivendicate, atti individuali e operazioni da commando che confondono gli investigatori e finiscono per essere parte di uno stesso fronte.