La Stampa, 3 dicembre 2015
Immacolata chi? Viaggio nel paesino calabrese dov’è nata la Chaouqui
Fino a qualche mese fa il personaggio vivente più famoso di San Sosti, paesino di duemila anime arrampicato tra le rocce in provincia di Cosenza, era Zu Dumenicu che aveva brindato ai suoi 111 anni fiero della lettera di congratulazioni presidenziale. Nel trascendente si vola più alto, c’è il santuario di Maria Santissima del Pettoruto, il primo Mariano della regione con la sua acqua miracolosa. Raccoglie molti pellegrini che per il paese neppure passano. Oggi, fatta salva la Madonna e Padre Pio ovunque in effigie, del povero vecchietto nel frattempo passato a miglior vita non si favoleggia quasi più, la sua fama vetusta è stata oscurata da una giovane donna di 32 anni, Francesca Immacolata Chaouqui, piccola ma tutta birra, dipinta come la “diabolica” pr papale, assurta prima agli onori delle cronache rosa, ora a quelle giudiziarie per lo scandalo Vatileaks. La signora è nata tra queste poche case a vocazione rurale dove il tempo libero si ammazza ai piedi della fontanella. Arrivare qui non è impresa da poco, vedere qualche anima pia in giro dopo le 7 di sera è una rarità, porte, finestre e bocche sprangate quanto la saracinesca del cinema. In compenso grande ospitalità e cortesia, gente semplice che ti fa sentire subito a casa. A patto che non si parli di lei.
Perché Francesca Immacolata con tanto di cerchio magico al seguito, non è tanto amata da queste parti come lei vorrebbe dare ad intendere. Nel bar del paese si mormora: una famiglia molto chiusa che non ha mai dato troppa confidenza. Si direbbe un po’ altezzosa, merito di una posizione economica tranquilla che mette a distanza il resto del mondo locale. Merito anche di quella lettera aperta inviata da Francesca Immacolata al Corriere della Sera all’indomani dell’odioso omicidio di Fabiana Luzzi ad opera del suo fidanzato.
L’affronto
La Chaouqui scrisse che gli uomini di qui sono così anche perchè qui le donne sono acquiescenti. Apriti cielo, in pochi le hanno perdonato questo affronto. L’accusa era di non conoscere il territorio, proprio a lei che ha fatto le scuole qui, elementari e medie, la ricorda una compagna di scuola, chiusa, introversa, presa nei suoi pensieri. Nella centrale via Matteotti vivono tutti i parenti, mamma Matilde Tripoli e nonna a un piano della palazzina bassa con balconi. Non ha voglia di parlare e di rilasciare dichiarazioni. Si affaccia cortese ma ferma: «A quest’ora non ricevo, sono le 7 di sera – dice con tono solenne come si decidesse di un invito a corte – Mi dica nome e cognome, io lo dirò a mia figlia e lei deciderà se posso parlarle». Deve aver detto di no perchè a quella finestra la giovanile signora, già insegnante di disegno a scuola, con il vezzo della pittura astratta, non si è più affacciata. Della nonna si conosce il carattere deciso e il cognome che oramai fa sorridere tutti come fosse un’ennesima beffa, omonimia, certo, ma proprio Bisignani si doveva chiamare?
Il padre di Francesca Immacolata è francese di origini marocchine, all’epoca dell’incontro con Matilde la famiglia vide di buon occhio l’unione, anche se Matilde aveva 12 anni. Lui alto, amante del calcio, la stessa espressione della figlia. Le versioni della storia a questo punto divergono. C’è chi parla, come Pasquale impiegato del Comune, amico di famiglia, nato lo stesso giorno, mese e anno di Matilde, di un grande amore, di una famiglia perfetta e di banali problemi affettivi sorti all’indomani della nascita della bambina che lo portarono ad andare via.
No, sostengono altri sempre dentro Palazzo di Città, una volta venuta al mondo la piccola è stata la famiglia ad allontanarlo, tanto che lui (dato per ambasciatore in realtà un distinto commerciante mobile) si presentava sotto casa per avere notizie della figlia senza ottenere soddisfazione, tanto d a chiamare l’assistente sociale per avere notizie di Francesca Immacolata. La ragazza in effetti è cresciuta in un gineceo forte e strutturato con la presenza costante dell’adorata zia, malata, che vedeva in questa fanciulla volitiva il suo riscatto.
A “spiegarle le cose della vita e a farle da padre” ci ha pensato don Carmelo Terranova, presente anche alle nozze di Francesca e Corrado, ricevimento nell’hotel Santa Croce. Oggi in pensione, lotta perché di Francesca non si parli nè a sproposito, né a proposito: «Mi lasci in pace», dettando così le regole di comportamento anche ai familiari che hanno qui il più grande negozio di arredamento per la casa della zona.
Ad andarci di mezzo da innocente è la povera cugina Silvana, offerta in olocausto a monsignor Lucio Vallejo Balda come «trentaseienne morbida», come si legge nei messaggi. Invece la Silvana di anni ne ha 56, bada ai fatti suoi e dalla vergogna quasi non esce più da casa.