il manifesto, 3 dicembre 2015
La riunificazione di Cipro passa per il calcio
«La strada principale per Famagosta è chiusa per lavori, sa quale deviazione occorre prendere?». «No, chiedo scusa, io a Nord non sono mai stata».
Sta tutta in questa risposta, che lascia quasi interdetti, l’essenza di Cipro. O, meglio, della società cipriota. All’hotel Seagull di Protaras, nell’area urbana di Paralimni, la receptionist interpellata per una banale informazione di percorso, non è mai stata nel capoluogo del suo distretto. Nonostante si trovi solo a una decina di chilometri di distanza. Perché lei è greca-cipriota e Famagosta sta nella parte turca, quella “sbagliata”. Anzi, quella di cui non si conosce – non si vuole conoscere – un granché.
L’isola sventrata in due
La «linea verde» dell’Onu sventra in due l’isola del rame, goffamente. Consegnandone due terzi alla popolazione greca e un terzo a quella turca. Che poi, anche qui, bisogna fare i relativi distinguo: ci sono i turchi, laici arrivati dopo le battaglie del 1974 e i turchi-ciprioti, quelli delle origini, ancor più laici e in estinzione, arrivati a contarsi in circa 120mila unità.
Quarantuno anni fa Atene volle riunire l’isola alla “madre patria”, scatenando l’ira di Ankara, l’invasione turca e la conseguente suddivisione tra nord (turco, che forma una repubblica de facto non riconosciuta dalla comunità internazionale) e sud (greco ed altamente occidentalizzato). Fatto che creò profughi da ambo i confini per l’incredibile velocità con cui si fu costretti ad abbandonare le proprie terre. E i propri animali, come gli asini selvatici che abbondano nella penisola di Karpaso, discendenti di quelli “domestici” appartenuti un tempo alla popolazione greca che abitava a nordest, verso Capo Sant’Andrea, terra di assoluto isolamento.
La Repubblica di Cipro del Nord è riconosciuta politicamente solo dalla Turchia. I suoi abitanti possiedono carta d’identità europea, ufficialmente obbligatoria ma da sempre ripudiata dai politici locali che ne affiancano un’altra autoctona. Oltrepassare il confine sud-nord, inoltre, prevede un pedaggio di almeno 20 euro: con quella cifra si acquista un «pacchetto di accessi» minimo di tre giorni. Si firma un documento ufficiale, un’assicurazione fornita da un noto marchio occidentale che, con questo sistema ha creato un vero e proprio businness a proprio vantaggio. Ancora qualche metro di linea verde et voilà, ecco Famagosta.
A Nicosia, invece, ci si guarda da una parte all’altra del confine. Pronto a cadere anche secondo il premier greco Alexis Tsipras nei pensieri espressi durante la visita ad Ankara di fine novembre.
Quello di Cipro riunita è un fronte legato a un altro dal respiro ancora più ampiò: l’adesione all’Unione europea della Turchia, paese chiave nella gestione dei flussi di profughi.
In ogni caso, a Cipro, non è più tempo di ragionare in termini di “ieri e oggi”. In questi giorni interessa il “domani”. Non a tutti, d’accordo, certamente a un numero sempre più crescente di popolazione. Impensabile sino a qualche mese fa: parlando con un cipriota della parte greca, sarà sempre più difficile ricevere risposte come quelle della receptionist del Seagull. Anche dalla parte europea di Nicosia, conosciuta come “ultima” Berlino d’Europa, si pensa non abbia più senso andare avanti con questo muro, certamente più mentale che fisico.
Per una volta, davvero, sembra tracciata la strada: quella verso la riunificazione dell’isola. E perché partire considerando la volontà della popolazione greco-cipriota? Perché fu quella che, nel referendum del 2004 (nell’ambito dell’Annan Plan), votò «No» (con un 75%) al ricongiungimento, a una sola identità nazionale. Il contrario accadde nella parte turca, che per il 65% espresse il proprio «Sì». Sì, all’uscita da quello stato di isolamento – più simile all’esclusione – che fermava il tempo.
Il segno del federalismo
Si arriva quindi al 17 febbraio 2014: dopo un lungo periodo di acque chete, i rappresentanti dei due governi – il presidente della repubblica greco-cipriota Nikos Anastasiadest e l’ex primo ministro di Cipro Nord Özkan Yorgancioglu (che il 16 luglio scorso ha lasciato il posto a Ömer Soyer Kalyoncu) si incontrano per ritornare a parlare di quel piano: «Far saltare il confine e unire l’isola sotto il segno del federalismo – spiega Evie Andreou, redattrice del più autorevole quotidiano cipriota (in lingua inglese) Cyprus Mail -. Quando la crisi economica internazionale era ancora lontana, le differenze tra nord e sud erano decisamente marcate. Dalla parte greca si pensava che quella turca volesse, in qualche modo, essere trainata e, certo, l’antipatia atavica che scorre tra greci e turni non ha giovato. Il fatto è che, così, facendo, si è rinviato di un ulteriore decennio tutto il capitolo di problemi che la divisione del 1974 si è portata in dote».
Sì, perchè, prima dell’indipendenza dell’isola dal Regno Unito (avvenuta nel 1960), ciprioti greci e ciprioti turchi erano da sempre andati più o meno d’accordo. I fatti del ’74 hanno sconvolto un equilibrio millenario…
«Questa estate abbiamo assistito a un altro incontro per accelerare le operazioni: il progetto di riunificare Cipro, ora, è ben concreto – prosegue Evie -. La difficoltà principale, com’è facilmente intuibile, è legata alla questione profughi, sia da una parte della linea verde che dall’altra: come restituire terre e proprietà agli espatriati? O, se non altro, che tipo di accordo sottoscrivere? Ma ci sono altri aspetti, anche dei più banali, di non facile risoluzione: per esempio, la differente configurazione dei rispettivi impianti elettrici oppure le differenti linee telefoniche dei cellulari. Nella parte settentrionale, per esempio, è la potente Turkcell a controllare il traffico delle comunicazioni e non credo sia disposta a rinunciare di buon grado al mercato cipriota».
Ci si creda oppure no, la miccia definitiva alla volontà di riunificazione, si è accesa per ragioni legate al calcio, diviso anch’esso tra nord e sud. Premessa: due squadre di tradizione del calcio cipriota, dal 1974 sono state costrette a varcare il confine verso sud per restare a livelli professionistici, il Nea Salamina e l’Anorthosis Famagosta, conosciuto per aver affronato l’Inter in Champions League qualche anno fa e che è costretta a disputare le gare casalinghe nella “greca” Larnaca.
Isolamento anche calcistico
Famagosta torna sempre: è l’esempio più lampante della sghemba suddivisione politica dell’isola. Una città dalle mille influenze ma fondamentalmente greca al colpo d’occhio, abitata da turchi. Ma, si diceva, i turchi di Cipro organizzano da tantissimi anni un campionato locale, molto combattuto e dal livello discreto.
In questo momento, a contendersi la testa della classifica, insieme al Binatli Yilmaz di Morphou (Güzelyurt in turco), al GAÜ Çetinkaya e campioni in carica dello Yenicami Adelen (entrambe di Nicosia), c’è – guarda un po’ – una formazione di Famagosta – o Gazimagusa – il Magusa Türk Gücü: «Cipro Nord aveva anche una selezione nazionale che partecipava alle competizioni internazionali extra-Fifa, ma il progetto è stato accantonato da qualche tempo», prosegue Evie Andreou. Che aggiunge: «Il problema è proprio qui: non essendo riconosciuto dalle Nazioni Unite, Cipro Nord resta isolato anche nel calcio. Non ha mai potuto affiliarsi né all’Uefa, né tantomeno alla Fifa, fatto che ha perfino bloccato i trasferimenti oltre confine. Dovesse esserci un Lionel Messi, a Cipro Nord, nessuno sarebbe in grado di ingaggiarlo e consegnarlo al grande calcio. Così, il presidente della federazione Hasan Sertoglu ha iniziato la propria campagna rivoluzionaria di annessione alla CFA, la federcalcio greco-cipriota». Con un motto, ripetuto come un mantra, ovvero: «Come possiamo fare pace se non giochiamo a calcio insieme?».
Tutto, esclusivamente, in barba alle volonta politiche: «Alcuni componenti del governo, tra cui il ministro dello sport locale, hanno urlato allo scandalo – chiosa la Andreou – rallentando le operazioni: loro vogliono un’annessione alla federcalcio turca ma Sertoglu, giustamente, non ne vuole sapere. Forse sarà già la prossima stagione, la 2016–2017, quella buona…».
Tornando alla riunificazione generale dell’isola, la sponda turca spinge affinchè essa avvenga entro la fine del 2015. Per quella greca, invece «non bisogna affrettare le operazioni». Di strada ormai, però, se n’è fatta tanta e, finalmente, sembra proprio quella giusta.