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 2015  dicembre 03 Giovedì calendario

Le guerre fanno diminuire l’inquinamento. È scientificamente provato

Centocinquanta paesi del mondo sono presenti al vertice più mondiale di tutti i tempi, quello in corso a Parigi, che dovrebbe risolvere o almeno decidere come affrontare quello che viene definito il pericolo numero uno per il pianeta: quei mutamenti atmosferici che ogni tanti milioni o miliardi di anni aprono una nuova era, ma cui pare questa volta contribuiscano anche le attività dell’uomo o, almeno, le loro scorie.
Di quei 150 governi, almeno 65, secondo gli ultimi calcoli, sono impegnati in una forma o nell’altra: conducendo guerre o rivoluzioni, alimentandole con aiuti militari diretti o indiretti, dalle invasioni ai bombardamenti alle forniture di strumenti più o meno bellici. Hanno dedicato finora, è facile desumerlo, più attenzione ai problemi e ai rischi più immediati. Ben pochi fra quei capi di stato o di governo, è certo, hanno trovato tempo e voglia di prendere in esame un contributo scientifico davvero rivoluzionario e, soprattutto, controcorrente.
Una relazione che in sostanza dice che le guerre a volte fanno bene all’ecologia. Lo sostiene un saggio pubblicato sulla rivista Science Journal e compilato da un ricercatore del Max Planck Institute per la chimica a Magonza, usando strumenti che si trovano a bordo di un satellite della Nasa. Da lassù ci fanno l’esame. Hanno misurato, fra l’altro, il biossido di nitrogeno, il prodotto della combustione dei carburanti fossili, usando i dati delle reazioni chimiche che producono ozono e smog come indicatori delle attività economiche e dell’efficacia delle misure contro la polluzione atmosferica, e hanno scoperto che questa cala in misura importante durante le guerre.
I dati più freschi vengono, naturalmente, dal Medio Oriente. I livelli dello sporco atmosferico sono calati in Siria, soprattutto su Damasco e Aleppo; nel cielo di Beirut (Libano) e in Iraq, su Baghdad, Samarra e Tikrit, centro del potere dell’Isis. Questi paesi avevano vissuto una specie di boom economico fra il 2005 e il 2010, ma anche una delle crescite più rapide nel mondo delle polluzioni. Dal 2010 in poi, invece, si è verificato un rapido declino in contrasto con la tendenza nel resto del mondo. Nel Medio Oriente la terra brucia e la gente muore, ma i cieli si puliscono, mentre altrove la pace e lo sviluppo li sporcano.
Lo dice uno scienziato, altrimenti potrebbero scambiarlo per un lettore un po’ ritardatario delle profezie di Filippo Tommaso Marinetti, che proprio nell’ora dello scoppio del primo conflitto mondiale aveva invocato la guerra come «sola igiene del mondo». Un culto evidentemente fuori di moda. Nessuno invoca più la guerra, anche se molti continuano a praticarla assiduamente. Le deduzioni dai dati scoperti dal cielo sono stringate e logiche: dove scoppia una guerra l’attività economica conosce il declino, il tenore di vita cala o crolla, molte attività diventano proibitive, il deserto riguadagna terreno. La temperatura si abbassa, rivelata dal termometro celeste.
Concluso il grande vertice, avranno tempo i singoli leader di scorrere i documenti, i risultati di queste ricerche? Fino in fondo, però. Altrimenti qualcuno potrebbe correre il rischio di riesumare Marinetti, con intenzioni e passioni anzi opposte. Se però leggeranno fino in fondo, scopriranno che la scienza offre anche spunti riequilibratori. Se è vero che durante una guerra le attività economiche e produttive calano e così, di conseguenza, le polluzioni atmosferiche perché una terra spopolata sporca meno il cielo, dunque che la guerra crea povertà, è anche vero che la povertà suscita guerre. Quello strumento magico che dalla pancia di un satellite artificiale ci guarda dentro le lenzuola ci fornisce anche, per esempio, gli altri dati sugli stessi paesi. Il declino della polluzione atmosferica, oggi come oggi, è una conseguenza di una caduta dell’economia e col conseguente aumento delle tensioni politiche, delle violenze e spesso delle guerre. «Che sono sempre delle catastrofi ecologiche», avverte uno studio della Columbia University, «perché richiedono l’uso di armi sempre più moderne e più potenti».