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 2015  dicembre 03 Giovedì calendario

Rosicare per il successo di Fabio Volo. Storie di scrittori frustrati

Una volta c’era la freudiana invidia del pene, oggi nel demi-monde della triste letteratura italiana c’è l’invidia di Fabio Volo. Non c’è scrittore con la puzza sotto al naso che non si senta superiore a Fabio Volo. Appena Volo schizza in classifica (sempre), schizza la rabbia nei cervellini degli autori italiani.
Ma i libri dell’ex panettiere Fabio Volo fanno veramente schifo come dicono quelli che brigano tutto l’anno per farsi dare uno Strega, un Campiello, un Viareggio? Prendiamo l’ultimo di Volo, intitolato È tutta vita (Mondadori, pagg. 240, euro 19). È la storia di un innamoramento, e la devastazione che provoca il lento deteriorarsi di una coppia, e l’irruzione di un figlio, che spesso è un modo per salvare un amore che finisce o per condannarlo a morte. «Un figlio non è un collante, ma un detonatore che può scaraventare lontani, ai lati opposti della stanza. Bisogna voler stare insieme con tutte le proprie forze, essere disposti a lottare per ritrovare una vicinanza, per poter allungare la mano e trovare ancora l’altro. Senza volontà, senza desiderio di stare insieme, i figli possono essere un’ottima scusa per andarsene».
È banale? Non più della vita. Il linguaggio e i concetti sono elementari? Non penso Fabio Volo si senta di essere Flaubert o Beckett, tantomeno Alberto Arbasino, o Aldo Busi, o me, ma è bene non creda neppure di essere inferiore a Francesco Piccolo, vincitore di un Premio Strega, rispetto al quale è Volo a essere Flaubert. Esempio di aforismi (aforismi, attenzione, non frasi stralciate a caso) di Piccolo: «La cosa più difficile da cucinare sono gli spaghetti al pomodoro». Oppure: «Le piante all’interno delle case. Occupano spazio». Esempio di aforisma di Fabio Volo, quando il protagonista fissa un ricordo, un cartellino NON DISTURBARE rubato da un albergo che diventa metafora della fine di una storia: «Se vuoi far sparire una cosa dalla vista non serve nasconderla, basta averla costantemente sotto gli occhi: un soprammobile, un tatuaggio, una moglie».
Rispetto a Lagioia, poi, non ne parliamo, Fabio Volo non scriverebbe mai frasi finto pensose e tremende come questa, altro romanzo vincitore dell’ultimo Premio Strega: «Clara impallidì. Poi si accigliò. La forzatura consentì a Pascucci di vederla l’ombra di una ferita – come avrebbe iniziato a mostrarsi di sua spontanea volontà se solo lui avesse avuto più pazienza. L’estorsione di un anticipo già ridotta a saldo», come un Harmony rivisto da Niki Vendola. Piuttosto Fabio Volo scrive che «il segreto di una relazione non è continuare a amarsi, ma far andare d’accordo le due persone che si diventa stando insieme», e racconta, nel suo modo giovanile e light e pop e senza troppe pretese, la trasformazione dei sentimenti, legata all’abitudine, alla noia, al cambiamento inesorabile di noi stessi, un concetto che è centrale, per esempio, nella Recherche di Proust. Il quale mentre c’era la Prima guerra mondiale, se ne fregava e scriveva il più grande romanzo sull’amore e sulla morte.
Quindi, se non sono i temi, cosa è insopportabile di Fabio Volo agli snob amici degli amici della domenica? Il successo? Non credo, Walter Siti vinse il Premio Strega con il romanzo Resistere non serve a niente e sono tutti ancora lì a corteggiarlo e invitarlo a destra e a sinistra e a chiedergli pareri sul mondo, perché abbandonò il tema omosessuale e dei culturisti per dedicarsi alla crisi economica con un soporifero librino antioccidentale, per il quale fu subito definito «il nuovo Pasolini». Edoardo Nesi vinse il Premio Strega con Storia della mia gente, ovvero le fabbriche di Prato scomparse per la globalizzazione, e chi se lo ricorda più. E meglio così, perché c’erano riflessioni memorabili tipo: «Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore di una tessitura non si ferma mai, ed è il canto più antico della nostra città, e ai bambini pratesi fa da ninna nanna». Se Fabio Volo è da Baci Perugina, Nesi è l’etichetta di un pannolone per ospizi toscani.
Infatti il punto è questo: nei romanzi di Volo non ci sono lagne socioculturali, non si occupa dei disoccupati, degli immigrati, del declino della società occidentale, della mafia, dei politici corrotti, del femminismo, dell’amianto delle fabbriche pugliesi. Altrimenti, poiché scrive meglio dei succitati, altro che Strega, perfino i parrucconi di Stoccolma gli darebbero il Nobel.