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 2015  dicembre 03 Giovedì calendario

Un selfie col volto tumefatto prima di essere uccisa dal marito. Ultime sul caso di Raffaella Presta

Un selfie col suo volto tumefatto inviato al fratello Vincenzo e a un’amica dieci giorni prima di morire. È una fotografia che accusa adesso, una pietra. È la denuncia di quello che Raffaella Presta, 40 anni, l’avvocato di Perugia, uccisa con due colpi di fucile dal marito, Francesco Rosi, subiva dentro la sua casa. Il selfie era accompagnato su whatsApp da pochissime parole: «Guarda quello che mi fa» e una chiosa ironica del tipo «incidente domestico, diciamo...».
Certe violenze, certe paure, Raffaella le aveva già confidate alle amiche dopo mille pudori e reticenze da quando, appena prima dell’estate, aveva lasciato lo studio legale dove lei, penalista, esperta di diritto di famiglia, lavorava.
Un’amica, anche lei avvocato, ha raccontato delle percosse, delle volte che arrivava in studio con gli occhiali scuri per nascondere le ecchimosi, della volta in cui per un’aggressione del marito è caduta e ha riportato la lesione a un timpano. Raffaella Presta sapeva perfettamente quali erano gli strumenti legali per difendersi da quelle violenze, ma non ha mai presentato una denuncia. Perché? Per proteggere il figlio di sei anni? Perché sperava di poter rimettere insieme i cocci di quel matrimonio? Di certo ha abbandonato il lavoro spiegando che il marito la voleva in casa. Una gelosia, quella di Francesco Rosi che giorno dopo giorno diventava un’ossessione, impossibile da gestire. Sarebbe questo il movente che ha armato le mani di Francesco Rosi, agente di commercio, uno che dormiva col fucile sotto il letto «per paura dei ladri» ha spiegato ai magistrati. Mica perché aveva in testa di uccidere la moglie.
Nell’interrogatorio in procura ha anche aggiunto che Raffaella lo voleva lasciare, che aveva un altro e che lui ha perso la testa quando lei, al culmine di una lite, a proposito del loro bambino, avrebbe detto: «Non è figlio tuo». Lo racconta l’avvocato di Rosi, Luca Maori convinto che «in questa dolorosa vicenda debbano emergere ancora molti aspetti». Ma i magistrati sono molto dubbiosi su questa ricostruzione. Intanto Rosi resta in carcere con l’accusa di omicidio volontario, mentre il figlio della coppia che si trovava in casa al momento del delitto (avvenuto il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne), ma in un’altra ala della villa, è stato affidato per ora alla sorella di Raffaella.
L’immagine del selfie con il volto tumefatto della moglie, è stata mostrata a Rosi, ma lui ha detto di non ricordare «quell’occasione precisa» dal momento che «in più occasioni ci eravamo colpiti con degli schiaffi durante delle liti».