la Repubblica, 3 dicembre 2015
Il Montenegro entrerà nella Nato. Uno sgarbo a Putin
È un modesto passo per la Nato, ma è gravido di conseguenze per i rapporti con la Russia: che parla di «provocazione» e annuncia ritorsioni. I ministri degli Esteri della Nato riuniti a Bruxelles hanno deciso di invitare il piccolo Montenegro ad entrare nell’Alleanza come 29mo Paese membro. Lo ha annunciato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sottolineando come «la decisione storica di avviare colloqui di adesione con il Montenegro» sia stata presa all’unanimità. È la prima espansione dell’Alleanza atlantica da sei anni. Proprio mentre gli occidentali cercano un’intesa con Vladimir Putin in Siria, l’annuncio crea un gelo con Mosca. Nell’ottica russa si alimenta la sindrome dell’accerchiamento: quella che secondo Putin contribuì a giustificare l’annessione della Crimea e l’attacco in Ucraina. Gli ribatte duro il segretario di Stato John Kerry: «La Nato non è contro di voi. È un’alleanza difensiva, che rende più sicuri quelli che ne fanno parte. Protegge anche contro il terrorismo e lo Stato islamico».
L’apertura dei colloqui per l’allargamento – che dovrebbero durare un anno – avviene 16 anni dopo che la stessa Nato bombardò il Montenegro durante la guerra del Kosovo, quando faceva ancora parte della Iugoslavia. In precedenza, gli ultimi Stati a entrare nella Nato furono l’Albania e la Croazia nel 2009. Dal punto di vista degli equilibri strategici, il Montenegro è un’aggiunta minuscola: ha una popolazione di 650.000 abitanti, e un esercito di soli duemila soldati. Ma il messaggio a Putin è politico: con questo annuncio gli viene detto che non ha un diritto di veto sull’allargamento della Nato. I prossimi della lista potrebbero essere la Georgia, la Bosnia-Erzegovina e la Macedonia: paesi che prima della caduta del Muro di Berlino appartenevano all’Unione sovietica (Georgia) oppure erano parte di una Iugoslavia semi-neutrale e certamente non schierata con l’Occidente.
«Dobbiamo ristabilire la nostra sicurezza e la parità nei rispettivi interessi» dice il portavoce di Putin, annunciando azioni di ritorsione. La prima reazione è l’annuncio della sospensione di ogni collaborazione militare tra Mosca e il Montenegro: nel caso si unisse alla Nato – dice il senatore Viktor Ozerov, capo del Comitato di difesa e sicurezza della Federazione – la Russia terminerà i suoi progetti bilaterali, compresi quelli militari. Dopo le rassicurazioni di Kerry sul fatto che il passaggio del Montenegro nella Nato non è una manovra contro la Russia, il Cremlino smorza un po’ i toni, annunciando di essere disposto temporaneamente a riprendere la collaborazione. Ma le ripercussioni potrebbero sentirsi in altre aree: la Siria dove l’Occidente cerca un appoggio russo, o la Turchia con cui i rapporti sono al limite di rottura dopo l’abbattimento di un jet russo.
Il premier montenegrino Milo Djukanovic parla di una «giornata storica» per il suo Paese. Al contrario, secondo il capo della commissione Esteri della Camera bassa del Parlamento russo Alexei Pushkov, l’adesione del Montenegro alla Nato non rifletterebbe la volontà del popolo montenegrino. «Secondo i sondaggi – dice – il governo non riuscirebbe a guadagnare la maggioranza nel caso di un referendum» di adesione alla Nato. Per Pushkov «non si può parlare della volontà del popolo, bensì di una linea strategica di lunga data degli Stati Uniti e delle élite filo-Nato per ampliare e sottomettere l’Europa al dominio americano».
A John Kerry la domanda sulle conseguenze viene posta durante la sua conferenza stampa a Bruxelles: come potete chiedere alla Russia l’appoggio nella guerra allo Stato Islamico, e al tempo stesso rafforzare le difese Nato contro un’eventuale aggressione russa? Per Kerry non c’è contraddizione: «La Nato è un’alleanza difensiva che esiste da 70 anni. Non minaccia nessuno. Fornisce sicurezza ai suoi membri. Non si focalizza sulla Russia. Perciò a Mosca dico: non ce l’abbiamo con voi, lavoriamo alla prevenzione di minacce come l’Is, e ad un migliore governo di fenomeni come le migrazioni». Kerry conclude con un passaggio in cui esorta Putin a «onorare gli accordi per restituire piena sovranità all’Ucraina, rispettare i suoi confini, cessare gli aiuti militari ai separatisti, ritirare gli armamenti pesanti». Il messaggio è chiaro: la necessità di combattere insieme lo Stato Islamico non “assolve” Putin per le violazioni del diritto internazionale in Crimea e in Ucraina. È anche un implicito altolà verso quei partner europei della Nato che hanno cominciato a premere per la sospensione delle sanzioni economiche alla Russia. Di certo questo alimenterà la narrazione di Putin, secondo cui la Nato avrebbe calpestato promesse fatte all’epoca della caduta del Muro di Berlino, di non espandersi a Est. Una ricostruzione storica che gli americani smentiscono; e che comunque non tiene conto della libera determinazione di quei paesi (dalla Polonia ai Baltici, dalla Romania alla Bulgaria) che vollero passare da questa parte dello scudo atlantico.