la Repubblica, 3 dicembre 2015
I troppi affari della famiglia Erdogan
Mai mettersi contro la Russia, recita un antico adagio. Perché la battaglia contro quel colosso può costare sconfitte atroci. La Storia lo ha insegnato a Napoleone Bonaparte e ad Adolf Hitler. Adesso tocca a un personaggio di caratura sicuramente inferiore, quel Recep Tayyip Erdogan la cui riconosciuta determinazione e impulsività lo ha portato a sfidare l’Orso russo tirando giù un suo aereo militare, evento mai nemmeno sfiorato da un alleato Nato contro il Paese leader dell’ex Patto di Varsavia. E adesso, giorno dopo giorno, la vendetta di Vladimir Putin si abbatte sull’ex amico, toccandolo nel punto più debole e scoperto: gli affari della famiglia.
Da diverso tempo la famiglia di Erdogan attira le attenzioni dei turchi, ma è argomento scarsamente noto all’estero, come in modo perfido hanno mostrato ieri le accuse brucianti del vice ministro russo della Difesa, Anatoli Antonov: «In Occidente nessuno si pone domande sul fatto che il figlio del presidente turco sia a capo della più grande compagnia energetica, o che il suo genero sia stato nominato ministro dell’Energia. Che meravigliosa famiglia d’affari! Il cinismo della leadership turca non conosce limiti».
Subito il leader turco ha negato, rispondendo sdegnatamente. Eppure, i legami tra i figli di Erdogan e il mondo degli affari non sono qualcosa di esattamente estraneo. Due mesi fa, ad esempio, Bilal, il figlio 35enne dei quattro rampolli di casa Erdogan (due maschi e due femmine) ha preso temporanea dimora a Bologna. Il quotidiano di centro sinistra Cumhuriyet, il cui direttore nel frattempo è stato arrestato per gli scoop sui traffici d’armi dei jihadisti con i militari turchi ed è in carcere con l’accusa incredibile di spionaggio assieme al capo redattore centrale, aveva dato la notizia che l’uomo si era iscritto alla Johns Hopkins University per completare il suo dottorato. A un’età che ha sollevato qualche dubbio, e avanzato ipotesi – mai provate – che in realtà Bilal fosse qui per gestire i suoi affari. Businessman dal 2006, il figlio del leader turco è uno dei tre azionisti di un’azienda che si occupa di trasporti marittimi. Solo lo scorso mese il media americano The Verge ha scritto che il gruppo, denominato BMZ, avrebbe illegalmente portato petrolio in Turchia dal cosiddetto Stato Islamico. Bilal fa parte anche del consiglio di amministrazione della fondazione Turgev che si occupa di giovani e di formazione: fu accusato di corruzione. Era uno degli indagati-chiave della Tangentopoli del Bosforo esplosa nel dicembre 2013.
Ma il caso forse più eclatante è nato solo pochi giorni fa ad Ankara quando, nemmeno troppo a sorpresa, nel nuovo governo del premier conservatore islamico Ahmet Davutoglu, è spuntato come ministro dell’Energia il nome di Berat Albayrak, genero di Erdogan, cioè il marito della figlia. Giovane come Bilal (37 anni), potentissimo, parlamentare, con una moglie velata come la stragrande maggioranza delle consorti dei ministri turchi, Albayrak compare dopo le elezioni vittoriose del partito al potere al balcone, a fianco di Erdogan, con le mani levate in alto. Fino a poco tempo fa era a capo della holding Calik, un conglomerato che va dal tessile alla finanza, non esclusi i media dove il moderato quotidiano Sabah, una volta acquistato, ha assunto una spiccata tendenza filo governativa.
Tra le voci che circolano intorno a Erdogan non c’è solo quella delle affiliazioni per i legami parentali, ma anche la cerchia dei ministri e degli amici. La stessa Tangentopoli del Bosforo, esplosa all’epoca in cui il leader era presidente del Consiglio, costrinse alle dimissioni 4 ministri, di cui alcuni erano suoi amici personali.
Il Pentagono ieri è corso in aiuto dell’alleato turco parlando di «accuse russe assurde». E Erdogan si è difeso con la solita vigoria: «Nessuno può lanciare calunnie contro la Turchia sull’acquisto di petrolio dall’organizzazione terroristica». E proprio l’edizione on line di Sabah ha riportato la sua difesa con evidenza: «Un tempo le dichiarazioni di Vladimir Putin su di me riguardavano sempre il mio coraggio e la mia audacia. Parlava molto del mio essere uno statista onesto quando incontrava l’ex presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder».
Era, quello, un quartetto considerato d’acciaio, unito dal potere, dalla politica, dagli affari. Alcune foto riprendono ancora Erdogan, Putin e Berlusconi incrociare le loro mani, nei vertici fatti a Soci, sulle rive del Mar Nero. Poi, anche quell’intesa – il puritano Erdogan non ha più voluto vedere l’ex presidente del Consiglio italiano dopo lo scandalo delle Olgettine – è naufragata. Rimaneva l’alleanza con l’Orso russo. Ma la vicenda del Sukhoi abbattuto ha strappato l’ultimo angolo di quella foto, e oggi gli attacchi diretti alla famiglia di Erdogan appaiono un marchio difficile da lavare.