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 2015  dicembre 03 Giovedì calendario

In morte di Gabriele Ferzetti

Maurizio Porro per il Corriere della Sera
È morto ieri a 90 anni Gabriele Ferzetti, nato Pasquale a Roma il 17 marzo 1925 e detto Lallo dai colleghi in camerino. La sua lunga carriera è stata esemplare, a partire dal debutto nel ’42 dopo i due anni nell’Accademia d’arte drammatica. Fu prima giovane, poi adulto, indi invecchiato attore borghese lontano da stereotipi folk, dai poveri ma belli, dalla commedia italiana (al massimo Souvenir d’Italie di Pietrangeli) e dai melodrammi, se non per le incursioni biografiche musicali nell’opera.
La sua natura di seduttore non fu legata al culturismo, né a Trastevere o al cinema da spiaggia, ma alla divisa di giacca e cravatta, ma con colpacci messi a segno da Loy e Puccini (Parola di ladro), Pietrangeli (Nata di marzo con la Sassard), virando verso le crisi esistenziali con un tocco di cinismo. Fece vital eccezione per Casanova di Steno (braccato dalle donne e dalla censura dell’on. Scalfaro), ma vinse un Nastro d’argento come marito della Lollobrigida in La provinciale di Soldati, da Moravia.
For ever 40enne, si spartì con Salerno i ruoli incerti, fumosi, dubbiosi dei professionisti in crisi anni 60, le stagioni del nostro amore e del nostro cinema «europeo», padre di famiglia (ma anche amante discreto) di fronte ai peccati mortali e-o veniali della società del boom. Fu non a caso il baricentro delle prime storie piccolo borghesi di colf. Finché non arrivò un altro grande borghese, Antonioni, a dare una svolta alla sua carriera con Le amiche (il pittore fallito Lorenzo), poi il fondamentale L’avventura con la Vitti, dov’è Sandro, testimonial dell’impossibilità d’amare con il finale taorminese sull’alba più livida degli anni 60. Il meglio.
Senza scordare un’altra incursione, Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà, con il Bond George Lazenby, Ferzetti fu pure attore non saltuario teatrale, dall’inizio scespiriano comparsa in calzamaglia per Visconti kolossal, seguito da un classico repertorio di prosa da prime donne (Cechov, Shaw, Pirandello) con la Pagnani, Foà, la Villi, Cimara, Gioi, fino alla prima Gatta sul tetto che scotta di Williams, ‘58, con Cervi e la Padovani.
A volte l’attore, spesso impegnato a dibattere con se stesso, diventa testimonial della Storia: memorabile è il Ferzetti di La lunga notte del ‘43 del debuttante Vancini, tra una farmacia, una finestra e le nebbie della Ferrara fascista raccontata da Bassani.
Appare insomma in tutto l’albo d’oro del miglior cinema italiano, riassunto in una Grolla d’oro alla carriera nel ’98.

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Maria Pia Fusco per la Repubblica
Con Gabriele Ferzetti, morto ieri a novant’anni, scompare uno degli attori più versatili del teatro e del cinema italiano, in grado di interpretare generi molto diversi, dalla commedia al dramma passionale, dal film storico all’avventura. Era nato a Roma il 17 marzo 1925. Per lo stile, il portamento elegante e una recitazione sobria e composta, tendente a sottrarre, Ferzetti era definito il più inglese degli attori italiani. Diplomato all’Accademia d’arte drammatica, aveva interpretato il miglior teatro contemporaneo, da Pirandello a Tennessee Williams e dopo la guerra nel ’48 aveva partecipato alla messinscena di Come vi piace di Luchino Visconti. Sul grande schermo, dopo l’esordio a 17 anni in Via delle cinque lune di Luigi Chiarini, era apparso in ruoli secondari finché nel 1953, con il personaggio del marito tradito da Gina Lollobrigida in La provinciale di Mario Soldati, il suo talento fu riconosciuto dal pubblico e dai critici.
Da allora ha attraversato la storia del nostro cinema, passando negli anni Cinquanta dall’interpretazione di Puccini nel film omonimo di Gallone all’affascinante seduttore in Le avventure di Giacomo Casanova di Steno. Uno degli incontri essenziali della sua carriera fu quello con Michelangelo Antonioni che prima in Le amiche poi in L’avventura gli affidò il ritratto di un uomo contemporaneo, incapace di affrontare il disagio esistenziale. Memorabile la sua presenza accanto a Gino Cervi in La lunga notte del ’43, il film di Vancini che evocava un tragico momento dell’ultima guerra. Dopo qualche escursione nel cinema francese – Rapina al sole di Jacques Deray e Tre camere a Manhattan di Marcel Carné - dalla metà degli anni Sessanta partecipò al cinema dei grandi registi del tempo, da Ettore Scola (L’Arcidiavolo) a Elio Petri (A ciascuno il suo) a Sergio Leone (C’era una volta il West).
Ferzetti è stato anche uno dei pochi attori apprezzati all’estero. Nel 1969 fu nel cast di Agente 007 – Al servizio segreto di sua Maestà con regia di Peter Hunt, l’anno dopo Costa-Gavras lo volle in La confessione, con Terence Young interpretò L’uomo dalle due ombre e nel ’73 partecipò a Gli ultimi dieci giorni di Hitler di Ennio De Concini con Alec Guinness. Appassionato del suo lavoro, negli ultimi anni ha accettato spesso di partecipare a film anomali, come Perduto amor di Franco Battiato o opere di giovani come Io sono l’amore di Luca Guadagnino o Diciotto anni dopo di Edoardo Leo del 2010, la sua ultima apparizione. L’immagine che Gabriele Ferzetti lascia nel ricordo è quella di una persona riservata e schiva anche nella vita privata, mai volgare, distante dal glamour: un uomo perbene d’altri tempi.

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Fulvia Caprara per La Stampa
Uomini eleganti, tormentati, fascinosi. Certe volte in preda a un senso di inadeguatezza esistenziale, altre semplicemente ironici, innamorati, e comunque mai banali. Debuttante nei primi Anni Quaranta dopo il diploma all’Accademia d’Arte drammatica, Gabriele Ferzetti (ma il nome di battesimo era Pasquale) ha attraversato, seguendo i percorsi del cinema e del teatro, un’epoca fiorente dello spettacolo italiano.
L’inizio in palcoscenico, nel 1948, è con Luchino Visconti, che lo dirige in Come vi piace di Skakespeare, il primo ruolo importante, sul grande schermo, nel 1960, è nell’Avventura di Michelangelo Antonioni, dove interpreta l’architetto Sandro, archetipo di incapacità maschile di amare evitando le trappole dell’abitudine e del conformismo. Le tante, diverse, corde recitative, unite a una fisicità flessibile, non troppo caratterizzata, adatta a modellarsi su ruoli e personaggi differenti, trasformano presto Ferzetti in attore richiestissimo dal miglior cinema italiano. Dopo Mario Soldati che (nel ‘53) gli aveva affidato il ruolo di marito tradito nella Provinciale, al fianco di Gina Lollobrigida, dopo Steno che (nel ‘55) lo fece recitare nelle Avventure di Giacomo Casanova (tagliatissimo dalla censura per i riferimenti erotici troppo sfacciati) e dopo Antonio Pietrangeli che lo aveva scelto (nel ‘58) per la commedia Nata di marzo, arrivano le prove con Florestano Vancini, nella Lunga notte del ‘43, con Elio Petri in A ciascuno il suo, con Salvatore Samperi in Grazie zia, con Sergio Leone in C’era una volta il West.
Fuori dai confini nazionali, Ferzetti appare nella Confessione di Costa-Gavras, accanto alla coppia formata da Yves Montand e Simone Signoret, in Divorzia lui, divorzia lei di Waris Hussein, protagonisti Liz Taylor e Richard Burton, in Nina di Vincent Minnelli, con Liza Minnelli e Ingrid Bergman e, nel ‘95, nell’Otello di Oliver Parker, dove il ruolo del protagonista era affidato, per la prima volta, a un interprete di colore, Laurence Fishburne, mentre Kenneth Branagh era Iago. A Ferzetti toccò un fugace cameo nelle vesti del Doge di Venezia, ma, anche allora, non passò inosservato.
Della sua carriera scintillante e instancabile fa parte l’immagine di attore schivo, abituato a evitare, fuori dal set, le luci dei riflettori e i flash dei paparazzi, meno irruente e meno mattatore di colleghi come Gassman o Sordi, ma perfettamente in grado di incarnare, negli anni, le trasformazioni del carattere virile. In Io sono l’amore di Luca Guadagnino metteva in mostra, ancora una volta, la sua ineguagliabile classe, un signore capace di reggere al meglio il passare del tempo. Il Ministro Dario Franceschini lo saluta definendolo «grande interprete, amato dal pubblico, e apprezzato per il suo talento dai più importanti registi della scena nazionale e internazionale. Alessandro Gassmann in un tweet gli augura «buon viaggio», la figlia Anna Ferzetti, anche lei attrice, lo piange al fianco del marito Pierfrancesco Favino, con cui ha avuto due figlie.

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Gloria Satta per Il Messaggero
Se n’è andato a 90 anni Gabriele Ferzetti, attore grande ed eclettico. «Il Laurence Olivier italiano», così lo definiva Dino Risi. Cinema, teatro, televisione: nella sua lunga carriera a 360 gradi, Ferzetti ha saputo continuamente mettersi in discussione, ricominciare, rischiare all’insegna della passione, del rigore, addirittura del puntiglio.
Nato a Roma il 17 marzo 1925, padre dell’attrice Anna Ferzetti, aveva iniziato in teatro, recitando Tennessee Williams e Pirandello. Ma molto presto sarebbe arrivato il successo nel cinema grazie a grandi registi come Antonioni, Soldati, Emmer, Pietrangeli, Steno, Leone, Petri, Monicelli, Montaldo, Zampa, Vancini, Bolognini, Young, Costa Gavras (ma anche esordienti come Samperi e Faenza) che in oltre 130 film gli hanno offerto ruoli complessi, incisivi, spiazzanti, mai facili o scontati.
L’attore è stato il pittore fallito di Le amiche, il professore tradito de La provinciale, il marito troppo “adulto” di Nata di marzo, l’amante sleale dell’Avventura, il vanitoso intellettuale di sinistra di Grazie zia, il capomafia di A ciascuno il suo, lo spregiudicato magnate ferroviario di C’era una volta il West, il barone corrotto di Bisturi mafia bianca, l’inquisitore staliniano di La confessione, che interpretò in un francese sorprendente frutto del suo proverbiale perfezionismo.
Ferzetti ha avuto una vita costellata di svolte, esperimenti, azzardi, rischi, rinascite. Sempre all’insegna del coraggio, della passione priva di calcolo, della gioia di darsi. E non ha mai smesso di sorprendere il pubblico: negli anni Sessanta era un mostro sacro del cinema e al culmine del successo decise di tornare a buttarsi nel teatro compiendo il cammino inverso a tanti attori che abbandonano il palcoscenico dopo aver assaporato i fasti del set. Quando riempiva da solo i teatri, non esitò a mettersi in gioco rappresentando un autore italiano contemporaneo, il Brusati di Le Rose del lago. Dopo aver girato La confessione e Il Portiere di notte, decide di affrontare la tragedia greca: e fa Prometeo, tra gli elogi della critica e gli applausi del pubblico. Pur essendo un uomo bellissimo (un sex symbol, lo definiremmo oggi), ha rinunciato a trasformarsi nella macchietta del latin lover nazionale per scegliere con entusiasmo ruoli di cattivo, uomo sgradevole, tipo ambiguo, mafioso e gangster insospettabili dietro il suo aspetto seducente e distintissimo. Ha condiviso spesso il set con Marcello Mastroianni, Gino Cervi, Clara Calamai, Marina Berti e Aroldo Tieri.
Sinceramente, istintivamente anticonformista, è stato un artista a tutto tondo che ha fatto della propria personalità non facile, non accomodante e non prevedibile il binario portante della sua carriera. Un proverbiale "caratteraccio" lo ha sempre tenuto lontano dai riti e dai miti dello spettacolo. Non ha mai fatto parte di clan, di gruppi di potere o di partiti. E la sua storia professionale non denota neppure una concessione alla faciloneria, a quel pressappochismo figlio del "volemose bene" connaturato a un certo spettacolo italiano.
Ferzetti aveva cominciato il suo percorso d’attore frequentando l’Accademia d’Arte drammatica, ma l’avrebbe abbandonata dopo pochi mesi insofferente alla teoria e convinto che l’arte si pratica sul campo. E ha sempre girato i film che gli piacevano, accettando perfino parti da vecchio come Puccini, il ruolo che lo fece diventare un divo quando aveva meno di trent’anni. Si è tenuto lontano dalla commedia perchè non gli interessava, proprio negli anni in cui il cinema italiano tributava onori e lauti guadagni agli alfieri della risata.
Al risultato facile, ha sempre anteposto il piacere di recitare e la voglia di perfezionarsi in una continua sfida con se stesso. E’ il motivo per cui ha amato lavorare con gli stessi compagni (come Anna Proclemer, la partner di una vita sul palcoscenico, o il regista Antonio Calenda) che gli hanno garantito la possibilità di rifinire, scavare, capire di più di se stesso e della sua arte. «Butterei sempre tutto in aria e ricomincerei da capo», rivelava nelle interviste.
Ha lavorato fino a cinque anni fa. In Io sono l’amore di Guadagnino era il suocero di Tilda Swinton. Il suo ultimo film è Diciotto anni dopo, di Edoardo Leo (2010) e in tv l’abbiamo visto nella miniserie Papa Luciani. Nella sua carriera c’è anche un film della saga James Bond, 007 Al servizio di Sua Maestà. Ferzetti non ha mai perso la voglia di crescere, imparare, conoscere. E arrabbiarsi, quando era il caso. Mancherà allo spettacolo, mancherà a tutti.