Corriere della Sera, 3 dicembre 2015
Storia di Pinki, che voleva vivere all’occidentale. Finché il marito non le ha dato fuoco
Dello (Brescia) «La giustizia italiana adesso dia un segnale forte, altrimenti in Italia ci saranno centinaia di ragazze che rischiano di subire quello che sta soffrendo la nostra Pinky»: chi sia Pinky e chi pronunci queste parole è presto detto. Lei è la donna 26enne a cui la sera del 12 novembre scorso il marito ha dato fuoco perché non sopportava la sua voglia di autonomia e la sua educazione occidentale. Chi parla è Ranjit, il fratello di Pinky che con le sue parole dice basta a regole ancestrali come la sottomissione della donna al marito dure a morire all’interno delle numerose comunità indiane di tutta Italia. A Dello vivono 146 indiani, 45mila in Lombardia, 148mila in tutta Italia è il 39% sono donne. Parvinder Aoulakh, per tutti Pinky, non ha potuto sentire le accorate parole dei suoi familiari: è ancora ricoverata in coma farmacologico nel reparto grandi ustionati del Gaslini di Genova.
Muove appena una mano e ha il viso, il collo, il seno e un braccio devastati dal fuoco; dei suoi due figli piccoli, la maggiore non parla più da quel 12 novembre, il minore dice «mamma» e mima il gesto di un accendino. Entrambi sono stati testimoni del tentativo di omicidio per cui il loro padre, Agib Singh è in carcere e sul quale fa scena muta.
Voleva vivere all’occidentale, dicono tutti di Pinky e chissà cosa uno va a pensare. Invece era solo una ragazza arrivata all’età di sei anni a Dello, paese della Bassa Bresciana, che ha fatto tutte le scuole in Italia, si è diplomata, parla 4 lingue e lavorava nello studio di un commercialista. «Era una ragazza solare che amava i figli e la famiglia ma non voleva dipendere da nessuno – racconta il fratello Ranjit – e per questo voleva lavorare: amava la sua libertà e la sua autonomia. Ma il marito e la suocera non lo tolleravano».
Eccolo il punto: a un certo punto il destino di Parvinder l’occidentale torna a incrociare l’India tradizionalista; nel 2010 sposa in India un suo lontano parente, che subito dopo viene fatto arrivare in Italia. Il classico matrimonio combinato, racconta chi conosceva la ragazza. «Ma no, si erano visti da bambini e si erano subito presi in simpatia – è la versione di Jagir, il padre di Pinky – si vedevano tutti gli anni quando tornavamo laggiù e si erano fidanzati tre anni prima delle nozze. Certo, l’ultima parola spetta sempre alle famiglie». In India tocca alla famiglia della sposa fornire tutta la dote che è molto più di un semplice corredo: per soddisfare le pretese del marito gli Aoulakh comprano un’auto, tv ed elettrodomestici, gioielli, trovano persino un lavoro in Italia allo sposo. «Ma la situazione precipita – spiega Ranjit – quando a Dello arriva la suocera: lei rinfacciava a Pinky il fatto che lavorasse, che non fosse una brava moglie. Pinky si ribellava, il marito era aizzato dalla madre, si diceva insoddisfatto della dote ricevuta».
La vendetta con il fuoco contro le donne, un triste fenomeno che anche in India è in declino dopo l’introduzione di leggi severe, rispunta da questa parte del mondo, dove il conflitto con la modernità per molti immigrati ha esiti atroci. E su questo la famiglia rompe col passato: «Non vogliamo più altre Parvinder, la magistratura italiana intervenga con decisione. Altrimenti altre donne indiane faranno la sua fine».