Corriere della Sera, 3 dicembre 2015
L’atletica italiana è dopata? In 26 rischiano due anni di squalifica per aver evaso i controlli
Un gancio da kappaò in piena faccia avrebbe fatto meno male. Ventisei deferimenti, per un totale potenziale di 52 anni di squalifica, fanno regredire l’atletica italiana all’anno zero.
Tutto il mondo è paese: dopo il Russiagate (la nazionale di Putin esclusa dalle competizioni internazionali, a partire dal Mondiale indoor 2016 di Portland), anche noi abbiamo il nostro film dell’orrore. A 246 giorni dall’Olimpiade di Rio, dove l’Italia avrebbe dovuto riscattare il flop del Mondiale di Pechino dando segni di vita, le richieste della Procura antidoping del Coni mettono in dubbio i risultati e le medaglie della vecchia generazione (dai triplisti Fabrizio Donato – bronzo a Londra 2012 – e Fabrizio Schembri, al velocista Simone Collio, argento in staffetta a Barcellona 2010, da Andrew Howe, oro europeo e argento iridato nel lungo, all’astista Giuseppe Gibilisco, oro a Parigi 2003, ormai ritirato) e il futuro di quella nuova (Daniele Greco, l’erede di Donato, e Daniele Meucci, oro europeo in carica nella maratona), travolgendo anche atleti di successo (la Incerti, Lalli, Pertile) e di mestiere, tutti accusati di aver eluso i controlli (art. 2.3 del Codice Sportivo Antidoping), reato che prevede fino a due anni di squalifica.
Le tessere che compongono il puzzle del procuratore Maiello sono le centinaia di mail partite dall’indirizzo di posta elettronica di Rita Bottiglieri, ex dirigente del settore antidoping della Federatletica italiana (Fidal), verso quelli di decine di atleti d’interesse nazionale tra il 2011 e il 2012. Tramite queste mail (acquisite dai Ros dei Carabinieri su richiesta della Procura di Bolzano nell’ambito dell’inchiesta «Olimpia», scaturita dalla positività all’Epo del marciatore Alex Schwazer) la Procura ha costruito il più clamoroso «rinvio a giudizio sportivo» della storia dell’atletica leggera. Nelle sue comunicazioni (spesso indirizzate collettivamente a decine di atleti) la Bottiglieri segnalava ripetutamente loro la mancata comunicazione della reperibilità richiesta dal Codice antidoping, con cui ogni atleta di alto livello deve comunicare i suoi spostamenti per poter essere rintracciato dagli ispettori. Le mail della Bottiglieri non erano richiami, ma inviti bonari. Il termine per attenersi alla regola non era mai perentorio e molti atleti nemmeno si degnavano di rispondere. In questo sconcertante quadro di anarchia e pressapochismo, né la Fidal né i Gruppi Sportivi (quasi tutti militari) di appartenenza davano peso alla cosa. Interrogati dai Carabinieri nei mesi scorsi, alcuni responsabili di società hanno negato di aver mai ricevuto le mail, che pure gli investigatori avevano trovato nei loro server e che sono finite agli atti. Archiviata invece la posizione di altri 39 atleti, tra cui proprio Schwazer, la quattrocentista oro europeo Grenot, la maratoneta bronzo iridato e argento europeo Straneo e l’ex altista Di Martino.
La Procura Antidoping ha scelto di non sanzionare l’art. 2.4 (mancata reperibilità), che punisce chi omette di comunicare per almeno tre volte in 12 mesi gli spostamenti. È una scelta drastica ed irrituale perché l’articolo 2.3 (quello imputato) prevede specificamente l’«eludere il prelievo dei campioni biologici, ovvero, senza giustificato motivo, rifiutare di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici previa notifica, in conformità alla normativa applicabile». Insomma, il caso classico di chi scappa a gambe levate alla vista di un ispettore. Su questa scelta del procuratore Maiello si discuterà molto in sede di giudizio sportivo, tenendo conto che il Tribunale Nazionale Antidoping ha fino a oggi accolto il 98% delle richieste del pm.
Per decidere chi squalificare, la Procura si è basata sul numero di richiami ricevuti da ciascun atleta, trascurando il fatto che nessuno di questi avesse carattere di notifica formale. Sono stati rinviati a giudizio quelli con più di 4 mancate notifiche accertate: recordmen il fondista Lalli e il velocista Galvan, 9 a testa (curiosamente, tra i cinque atleti con 4 mancate notifiche sono stati deferiti solo i maratoneti di punta Meucci e Incerti e non i fondisti Caimmi, Di Cecco e Bourifa, peraltro già ritirati). L’epitaffio su un ambiente sotto choc è del maestro dello sport Carlo Vittori, 84 anni, che allenò Pietro Mennea: «L’atletica italiana, che ai miei tempi era sacrificio e gioia, è finita». Amen.