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 2015  dicembre 02 Mercoledì calendario

A cinquant’anni Katarina Witt ha rimesso i pattini

La divina, la più grande, compie 50 anni. Katarina Witt, simbolo di uno sport, di un Paese e di una generazione, domani circumnaviga la boa di mezzo secolo. E a guardarla, più in forma che mai, non sembra possibile. Quel sorriso incanta come allora, come sempre. Al pari della voce che, anche al telefono, è brillante e suadente.
Katarina, è fiera di questo traguardo?
«Cinquanta, riferito alla mia età, mi pare un numero astratto. Potrebbe essere 40 o 60 e poco cambierebbe. In realtà mi permette di guardarmi indietro e di capire che ho avuto una vita piena di cose belle, durante la quale ho realizzato molti dei miei sogni, quelli legati al pattinaggio su ghiaccio in testa».
«So viel Leben», «Così tanta vita», il titolo del suo nuovo libro stasera pubblicamente presentato a Berlino, potrebbe quindi essere più azzeccato?
«È una raccolta di 300 foto che racconta di me, dall’infanzia a oggi. L’ho curata con un lavoro che mi ha fatta avvicinare a questa data progressivamente, facendomi ripercorrere le tappe della mia esistenza e della mia carriera».
Sport e non solo, vero?
«I successi da atleta mi hanno aperto un’infinità di porte. Legate al pattinaggio, che resta il mio primo amore, come produttrice di spettacoli negli Stati Uniti o di commentatrice tv in Germania. Ma non solo: sono stata attrice persino al fianco di Robert De Niro, scrittrice, testimonial di aziende, leader della candidatura poi sfumata di Monaco per l’Olimpiade 2022, ambasciatrice della fondazione Laureus. Ho avuto molte opportunità, ho girato il mondo. Sono una privilegiata».
Dove vive adesso?
«A Berlino e viaggio meno di una volta. Ma negli ultimi mesi, per un documentario che Ard sta girando su di me in onda in primavera, sono tornata in luoghi che hanno segnato la mia vita. È stato il mio regalo di compleanno».
Dove, per esempio?
«A Sarajevo: lì nel 1984 vinsi la prima Olimpiade. C’ero stata anche subito dopo la guerra: quant’è cambiata. E a Chemnitz, nella ex Germania Est, dove mi sono sempre allenata. Che piacere ritrovare coach Jutta Müller. Ha 87 anni, va di rado alla pista, ma siamo state nel suo ufficio. È tutto come allora. Ci siamo commosse».
Quanto pattinaggio c’è ancora nelle sue giornate?
«Meno di quel che vorrei: nel 2008, quando in un tour d’addio ho pattinato di fronte a un pubblico per l’ultima volta, ho chiuso una pagina. Sono tornata sul ghiaccio solo per un film autobiografico: sei mesi di allenamenti per una scena di 30”... Per il resto ho commentato i Giochi di Sochi, 2014, ma ora non sono aggiornata».
Non le piace la direzione imboccata dalla disciplina, sempre più esasperata in senso tecnico?
«Non è quello: il mondo cambia, è giusto adeguarsi. È che subentrano altri interessi. Piuttosto mi rammarica vedere che il pattinaggio abbia perso seguito. Russia, Giappone, Cina, Sud Corea: tolte certe realtà, è difficile far breccia».
Una volte c’era lei: non crede che i campioni di oggi siano meno «vendibili»?
«È un discorso lungo. Ma una come Carolina Kostner, per esempio, è una donna-copertina meravigliosa. Nessuna ha la sua eleganza. Peccato per quel brusco stop imposto: per quel che so, non credo avesse responsabilità specifiche, ha agito per amore. Al suo posto, avrei fatto così».
È nella storia anche per la «Sfida delle Carmen» di Calgary 1988 con la statunitense Debi Thomas: si immaginava che, come emerso di recente, da medico affermato qual era, finisse a vivere in una roulotte?
«La notizia mi ha scioccata: spero trovi modo di risollevarsi. Mi piacerebbe poterle dare una mano».
Doping, corruzione: lo sport mondiale è costantemente al centro di scandali...
«La trasparenza, a cominciare dalle grandi federazioni, dovrebbe essere imprescindibile. Quei 10-15 che comandano, come avviene nelle grandi aziende, dovrebbero essere sottoposti a continui audit interni. Certi ideali non possono venir meno».
È delusa dalla rinuncia di Amburgo alla candidatura per i Giochi 2024?
«La gente ha votato “no” anche per l’immagine negativa che l’olimpismo ha in questo periodo. Negli ultimi anni i forfait sono stati tanti e di diversi Paesi. Eppure non c’è luogo simbolo di pace più di un Villaggio atleti a cinque cerchi. Credo che l’agenda 2020 portata avanti dal mio connazionale Thomas Bach, presidente del Cio, sia un buona base per cambiare la situazione. E che l’esito del referendum possa servire ad aprire gli occhi».
È d’accordo con chi dice che la Russia di oggi sia vittima di una forma di doping di Stato come quella in essere a suo tempo nella sua Germania Orientale?
«Sto per festeggiare il mio 50° compleanno, perché rovinarmi le celebrazioni con una domanda così?».
Quando la rivedremo in Italia?
«Presto: l’estate scorsa ho trascorso qualche giorno di vacanza tra Lago Maggiore e Lago di Garda. Vorrei andare all’Arena di Verona per Opera on Ice. Al vostro Paese sono affezionata, dai tempi di Carlo Fassi, ai giorni in cui Alberto Tomba mi regalava mazzi di rose dopo certi Gala: che mattacchione. È bello ritrovarlo agli incontri di Laureus».