ItaliaOggi, 2 dicembre 2015
In Cina la manodopera comincia a scarseggiare e i costi di produzione aumentano
Nonostante il miliardo e 400 milioni di abitanti, la Cina comincia a incontrare difficoltà sul versante produttivo. La manodopera comincia a scarseggiare e il costo del lavoro è in aumento. Ciò rende il paese meno competitivo rispetto ad altre nazioni del continente asiatico.
Molti dirigenti d’impresa spiegano sinteticamente quanto sta avvenendo: i costi sono in crescita e la tecnologia, al contrario, diventa sempre più a buon mercato.
La lavorazione dei jeans prodotti da Levi, fino a poco tempo fa affidata a dozzine di lavoratori per determinati processi, ora è appannaggio dei laser. Una tendenza che sembra inarrestabile. In generale, gli esperti non escludono che nel 2050 ognuno abbia in casa una stampante 3D che permetta di produrre tutti i tessuti desiderati. La spinta allo sviluppo tecnologico è determinata proprio dalla necessità di contenere le spese di produzione.
Di fatto l’ex Celeste impero, che per molti anni si era posizionato al centro della produzione mondiale, visto che un po’ tutte le multinazionali vi avevano trasferito le fabbriche, sta diventando meno strategico. Inoltre i consumatori chiedono beni sempre più su misura, e questo rende meno conveniente sfornare grandi quantità di merce da inviare a destinazione dopo un lungo tragitto via mare. La Cina diventa meno attraente a causa dell’incremento dei costi legati alla logistica, alle tasse e al marketing, oltre a quelli relativi al lavoro.
Dopo le grandi migrazioni degli ultimi decenni, quando centinaia di milioni di cinesi si sono riversati dalle povere zone rurali verso le città in cerca di un’occupazione in fabbrica, ora si sta innescando un movimento contrario. In molti vogliono tornare a casa per riunirsi alle loro famiglie e per aiutare i genitori anziani. Per motivi demografici la popolazione in età di lavoro è destinata a diminuire di circa 210 milioni di unità entro il 2050, stando alle previsioni dell’Onu. Nell’ultimo decennio gli stipendi e i benefit sono già cresciuti a doppia cifra. Recentemente il governo di Pechino ha emanato un provvedimento per l’innalzamento delle paghe, con l’obiettivo di stimolare i consumi e rilanciare un’economia che ha rallentato la sua crescita. A mano a mano che la forza lavoro è destinata a calare, gli stipendi aumenteranno.
Boston Consulting Group ha calcolato che il costo del lavoro medio nell’area costiera è pari a 14,60 dollari (13,75 euro) l’ora rispetto ai 22,68 dollari (21,37 euro) negli Stati Uniti. Con questa differenza la Cina non è più conveniente come un tempo. Se si aggiungono le spese per l’energia, il paese asiatico è diventato ancora meno competitivo rispetto ad altri dell’area asiatica come l’Indonesia, la Thailandia, l’India e il Messico.
In tale contesto le grandi aziende stanno modificando le loro strategie. È il caso di Levi, che ha abbandonato la tendenza a trasferire continuamente la produzione da un paese povero all’altro, dove i risparmi sono più consistenti, a favore di altre forme di taglio dei costi. Soltanto per le produzioni di bassa qualità il colosso americano dei jeans continua a seguire questa strada. In Cambogia, per esempio, realizza pantaloni in materiale povero che non hanno bisogno di grandi lavorazioni. Inoltre, una volta che una particolare linea di jeans aderenti prodotta in Cina è diventata di successo in Europa, sono state coinvolte le fabbriche in Polonia e in Turchia per abbattere i costi di consegna.